Su suggerimento di @turbo_ayn.
In un articolo comparso su Il Foglio qualche giorno fa e ripreso dal sito dell’Istituto Bruno Leoni, Serena Sileoni ragiona sull’espressione “beni comuni”: il benecomunismo, concetto così nuovo, riprenderebbe vecchie concezioni.
Il peso delle parole cambia anche solo da un singolare a un plurale. Prendete l’espressione “bene comune”. Al singolare, è un concetto classico che il diritto ha acquisito dalla filosofia tomistica quale fine della comunità politica. In termini moderni e secolarizzati, potremmo chiamarlo interesse generale, e come tale esso ricorre ovunque nel nostro ordinamento, dalla Costituzione alle leggi alle sentenze. Al plurale, possiamo invece dire che i beni comuni sono ancora un’espressione ignota all’ordinamento vigente, ma molto in voga nel linguaggio politico, con la quale si indicano beni a cui tutti dobbiamo avere accesso e che rischiano di esaurirsi o deteriorarsi con l’uso.
Immagine da flickr.
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