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Chi domina la conversazione sull’AI

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Tra fine ottobre e inizio novembre abbiamo assistito a un climax di incontri, iniziative e dichiarazioni di policy sull’intelligenza artificiale. Ordine esecutivo americano, dichiarazione del G7, AI Safety Summit in UK, mentre sullo sfondo procedono, in una specie di corsa a ostacoli, gli ultimi lavori dell’AI Act, l’atteso regolamento europeo sull’AI che deve chiudersi all’inizio del nuovo anno per non ritrovarsi impantanato nelle prossime elezioni europee. Non potevano mancare le Nazioni Unite, che hanno appena creato un comitato consultivo che dovrebbe emanare a breve delle raccomandazioni.

Dunque dopo la corsa a far uscire i prodotti di AI generativa e aprirli al grande pubblico (che racconto da mesi a partire da questo numero della newsletter Guerre di Rete), ora siamo allo sprint dei politici, dei diplomatici e dei loro sherpa.

Iniziamo con l’ordine esecutivo di Biden, decine e decine di pagine dettagliate (qui il documento completo), seguite da un’importante guida all’implementazione da parte dell’Office of Management and Budget (ancora in fase di bozza, che può quindi ricevere commenti e feedback).
I due documenti richiedono agli “sviluppatori dei più potenti sistemi di intelligenza artificiale di condividere i risultati delle loro valutazioni di sicurezza e altre informazioni critiche con il governo degli Stati Uniti”. Ma impongono anche alle agenzie federali di sviluppare standard, strumenti e test per garantire che i sistemi di AI siano sicuri e affidabili. Di promuovere un ecosistema competitivo e aperto. E poi di proteggere i cittadini dalla discriminazione algoritmica, o dalla violazione della privacy; e i lavoratori da possibili impatti negativi. Oltre che dare linee guida chiare agli uffici federali per gestire e utilizzare prodotti e servizi di AI.

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