A cura di @bullone (modificato).
Andrew Crane, professore di Economia sociale dell’impresa all’Università di Bath, propone una riflessione sulla schiavitù moderna legata all’immigrazione clandestina.
Contrariamente all’idea comune che si ha dello sfruttamento dei nuovi schiavi, nella quale ci si aspetterebbe di trovare orari massacranti, lavori estenuanti e sottopagati, la realtà spesso è che i nuovi schiavi lavorano molto meno di quanto potrebbero e, in molti casi, vorrebbero. Il modello di sfruttamento, in questo caso, non consiste nel trarre vantaggio il più possibile dalla produttività del lavoratore, ma nel considerarlo allo stesso tempo un fattore di produzione ed un consumatore.
Proprio perché non lavorano abbastanza, spiega Crane, i lavoratori immigrati sono così costretti ad indebitarsi e gli è così preclusa la possibilità di ripagare il loro debito, rimanendo intrappolati in una spirale schiavistica di debito e dipendenza nella quale gli introiti, per il datore di lavoro, non provengono tanto e solo dallo sfruttamento della forza lavoro, ma anche dalla vendita di beni e servizi destinati ai loro dipendenti, oltre che dagli interessi sullo stesso debito.
Immagine da Wikimedia.
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