A cura di @NedCuttle21(Ulm).
Secondo un’inchiesta condotta dal Guardian e raccontata da Roberta Aiello su Valigia Blu, negli anni scorsi la multinazionale di biotecnologie agrarie Monsanto avrebbe raccolto informazioni su chiunque – giornalista, attivista, scienziato o semplicemente artista – si schierasse contro la sua attività, al fine di poterle poi utilizzare in azioni di contrasto diffamatorie. Il principale oggetto di tale strategia intimidatoria sarebbe stata la giornalista di Reuters Carey Gillam, autrice del saggio, pluripremiato, intitolato Whitewash: The Story of a Weed Killer, Cancer and the Curruption of Science, nel quale, ripercorrendo le inchieste che le avrebbero permesso di appurare l’esistenza di una correlazione causale tra l’uso del diserbante Roundup e il cancro, spiega come gli interessi delle grandi aziende possano influenzare il lavoro degli scienziati e inficiare alcuni aspetti della loro attività divulgativa. Allo scopo di screditare la giornalista di Reuters e il suo lavoro, la Monsanto si sarebbe rivolta alla società di consulenza FTI Consulting, la quale successivamente, tra le altre cose, avrebbe esortato con una email i dipendenti della multinazionale a rilasciare su Amazon recensioni negative di Whitewash.
Un vero e proprio “centro di intelligence” per monitorare e screditare giornalisti e attivisti organizzato dalla Monsanto, la multinazionale statunitense di biotecnologie agrarie, acquistata lo scorso anno dalla società farmaceutica tedesca Bayer. Questo è quanto emerso dalla lettura di documenti di comunicazione interna consultati dal Guardian, per la maggior parte risalenti a un periodo che va dal 2015 al 2017, depositati in Tribunale nell’ambito di una battaglia giudiziaria in corso sui rischi per la salute causati dal diserbante Roundup prodotto dall’azienda. Il sistema, gestito all’interno dell’impresa, serviva a raccogliere informazioni su chiunque denunciasse quelli che riteneva tragici effetti derivanti dall’uso di glifosato e su quanti si schierassero contro le attività della Monsanto, per organizzare successivamente delle azioni di contrasto diffamatorie. Il contenuto dei documenti conferma le tesi sostenute in tribunale secondo cui la Monsanto ha “intimidito” critici e scienziati e si è impegnata a nascondere i pericoli derivanti dall’utilizzo del glifosato, l’erbicida più usato al mondo, elemento principale del prodotto Roundup.
Immagine da Wikimedia.
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