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Cota e consa l’è bona anca una medusa

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Agostino Petroni su Hakai Magazine propone una soluzione al numero sempre più crescente di questi invertebrati marini: mangiarli.

Le meduse fanno parte di un ampio gruppo di animali acquatici che i biologi marini chiamano «macrozooplancton gelatinoso». Esistono circa 4.000 specie conosciute in tutto il mondo, probabilmente altre sono sconosciute. Possono avere le dimensioni di una biglia, come la medusa Irukandji, altamente velenosa, che si trova principalmente al largo delle coste australiane, o avere tentacoli lunghi fino a 36 metri, come l’enorme medusa criniera di leone. Le meduse sono una parte importante degli ecosistemi marini e servono da cibo a 124 specie di pesci e 34 altri animali, come la tartaruga marina liuto.

Dall’inizio del nuovo millennio, la popolazione di meduse è andata via via ingrandendosi. L’aumento riguarda solo alcune specie e le cause non sono chiare (probabilmente l’introduzione di meduse alloctone e il riscaldamento dei mari), ma le conseguenze stanno creando grossi grattacapi all’uomo: in Giappone e nel mar Mediterraneo le meduse hanno distrutto allevamenti ittici, intasato centrali elettriche, messo a repentaglio il turismo.

Che fare? Il suggerimento di Petroni è mangiarle. La pesca riporterebbe sotto controllo in breve tempo la popolazione di meduse e secondo uno studio condotto da Luisa Torri e altri ricercatori, le persone giovani, istruite e con particolare sensibilità verso le tematiche ambientali sarebbero disposte a provare piatti a base di meduse.

(il cuoco) Palamaro fa bollire per un minuto la medusa Pelagia del Mediterraneo, la fa marinare negli agrumi per un’ora e la condisce con olio di semi di zucca prima di servirla con la quinoa.

Uno dei problemi che si stanno superando è la percentuale di acqua e la scarsità di proteine delle meduse, che rendono più difficile avere una materia prima adatta anche a chi cucina in casa senza attrezzature particolari (una soluzione potrebbe essere friggerle). In Cina invece è un ingrediente normale (nei loro piatti è presente da più di mille anni) e oggi 19 paesi ne raccolgono fino a un milione di tonnellate per un valore di mercato intorno ai 160 milioni di dollari.


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