In una risoluzione votata la settimana scorsa a larga maggioranza, il Parlamento Europeo ha parzialmente respinto l’accordo trovato dal Consiglio Europeo. Nel testo si legge che il Parlamento «apprezza» il compromesso trovato sul Fondo, anche se con alcune importanti riserve; ma soprattutto «non accetta» l’accordo sul nuovo bilancio, su cui condivide la competenza, dato che lo giudica troppo poco ambizioso su alcune importanti voci di spesa come ricerca, sanità e ambiente.
Il trattato di Lisbona approvato nel 2007 garantisce al Parlamento la competenza sul bilancio settennale, condivisa col Consiglio dell’UE (l’organo dove siedono i rappresentanti dei governi). Di fatto è un potere di veto, che finora non ha mai utilizzato. Nella plenaria straordinaria organizzata per discutere l’accordo trovato dal Consiglio Europeo, però, tutti i principali gruppi politici hanno lasciato intendere che per ottenere la loro approvazione il Consiglio dell’UE dovrà accogliere una serie di richieste.
In caso di fallimento dei negoziati, che sono già iniziati in maniera esplorativa, l’Unione Europea entrerebbe nel 2021 con un esercizio provvisorio che potrebbe rallentare l’applicazione di tutti i programmi, compreso il Fondo per la ripresa.
Nei negoziati fra le tre principali istituzioni europee, Parlamento, Consiglio dell’UE e Commissione, nella maggior parte dei casi è il Parlamento a proporre le soluzioni più ambiziose. I parlamentari europei sono meno legati dei governi alla politica nazionale – anche se ne avvertono la pressione – non devono preoccuparsi eccessivamente della solidità del loro seggio, dato che le elezioni si tengono ogni cinque anni, e i tre gruppi politici che compongono la maggioranza – centrodestra, centrosinistra e liberali – sono abituati a lavorare insieme per ottenere il massimo dai negoziati con le altre istituzioni.
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