Nelle ultime 48 ore si sta celebrando a Bruxelles un rituale laico che avviene ogni sette anni: il mercanteggiamento sul bilancio pluriennale dell’Unione Europea. Va deciso a grandi linee come spendere i soldi comunitari fra il 2021 e il 2027.
È una cosa molto meno altisonante di quanto sembri: i capi di stato e di governo, chiusi in un bel palazzo nel quartiere europeo, si dividono in fazioni e discutono per ore dello spostamento di qualche decimale: quest’anno si litiga se destinare al bilancio l’1 o l’1,07 per cento del PIL di tutta l’UE, poca roba per degli stati nazionali. In realtà ogni voce in capitolo viene aggiustata di anno in anno, e molto si riduce a una questione di immagine: nessun leader può permettersi di stare due giorni a Bruxelles e tornare senza una vittoria, anche se piccola, simbolica o insignificante.
Tutto è enormemente ingigantito dalla bolla di giornalisti funzionari assistenti che per qualche ora è inebriata dalla prossimità e dalla concentrazione dei leader a cui ha raramente accesso, e dalla vertigine di sapere tutto 40 minuti prima dei colleghi che non si trovano nel palazzo.
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