A cura di @NedCuttle21(Ulm).
Un articolo pubblicato su Internazionale fa il punto su cause ed effetti della proliferazione nella laguna di Venezia di organismi alloctoni.
Chi si è trovato ad attraversare spesso il ponte della Libertà, tra Mestre e Venezia, sa che la laguna cambia colore ogni giorno. In realtà non è solo una questione di colore; cambia la consistenza del riverbero sulla pellicola dell’acqua e la qualità della luce. Cambia il livello della marea e così la vista della barena, l’arcipelago informale di terre emerse e minuscole isole colonizzate dagli uccelli che si alternano sulla ruota dei cicli migratori; volpoche, strolaghe, anche fenicotteri, nascosti nell’area settentrionale della laguna, quella opposta a Porto Marghera.
Vedendola cambiare ogni giorno ci si trova a fantasticare sul tempo profondo che l’ha scavata e complicata nel corso dei secoli, anzi, dei millenni. Un miraggio preistorico. Un miraggio e niente di più, perché l’idea di una laguna uguale a se stessa è solo uno dei tanti cortocircuiti che ci impediscono di sciogliere i nodi tra storia e natura, esseri umani e ambiente. La laguna del novecento è nata grazie agli immani sforzi ingegneristici della Serenissima, che per secoli ne ha tutelato la conservazione, deviando i corsi millenari di fiumi come il Piave, il Brenta e tanti altri. La chiamo laguna del novecento perché negli ultimi anni sta diventando qualcos’altro.
Immagine da Alexander Russy – Flickr.
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