Secondo Plutarco gli Spartani selezionavano i bambini alla nascita, optando per l’“esporre” i bambini malformati e lasciarli morire. Davvero gli antichi greci uccidevano i bambini con disabilità? Per chiarire meglio la questione alla luce delle prove archeologiche, sul Bo Live, canale youtube dell’Università di Padova, Anna Cortellazzo ha intervistato Jacopo Bonetto professore di archeologia classica e direttore del Dipartimento dei Beni culturali dell’Ateneo padovano.
Il tema è assai complesso e si legge sia attraverso le fonti letterarie sia appunto i documenti archeologici. Alcune fonti letteraria ci narrano dell’uccisione rituale di bambini o anche non rituale ma semplicemente l’uccisione per rendere più compatta e solida la compagine superstite ma spesso i dati archeologici tendono a smentire questo. Vi è uno scavo molto noto, compiuto già nel ’38 presso l’agorà di Atene, che aveva esaminato il pozzo colmo di ossa di bambini in età prenatale, perinatale o immediatamente post natale. Solo nel 2018 dopo un lunghissimo periodo di studi sono stati pubblicati i risultati ed è emerso che questi bambini non erano necessariamente stati uccisi ma erano nati prematuri o morti prima del parto o immediatamente dopo il parto. Perché è importante considerare che la mortalità neonatale o nei primi mesi di vita era appunto elevatissima, sino a quasi al 40%.
Le ricerche archeologiche di questo genere si basano principalmente su scavi nei cimiteri antichi nelle necropoli. Tali indagini hanno trovato dei resti di bambini di età non più giovane con malformazioni; questo porta gli studiosi ad affermare che il racconto di Plutarco enfatizzi troppo o trasponga in leggenda quel che avveniva per ragioni almeno a volte prettamente naturali. Bonetto conclude illustrando il rapporto tra archeologia e fonti storiche, con la prima che il più delle volte integra più che smentire le seconde.
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