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I figli del Daesh rinchiusi in Siria: un dilemma morale per il mondo

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Sono l’eredità più nascosta e più pesante dei tre anni di dominio del terrore del Daesh su circa un terzo di Iraq e Siria dal 2014 al 2017: ora che Raqqa e Mosul sono state militarmente liberate da quasi sei anni, nel campo profughi di al-Hol – nel Nord Est della Siria, sotto il controllo delle Forze democratiche siriane a maggioranza curda – alcune migliaia di minori sono ospitati in condizioni a dir poco degradate e soprattutto al rischio di una nuova radicalizzazione.

L’uso dei bambini soldato ha un infelice precedente nei “Leoncini di Saddam”, corpo paramilitare con reclute dai 10 ai 15 anni a cui il Daesh in qualche modo si è ricollegato, mutando ovviamente i contenuti dell’originaria ideologia Baath in quella dell’islamismo radicale. Un indottrinamento, spiega Stefano Luca in “I cuccioli dell’Isis” (Edizioni Terra Santa, 2020) che, oltre a fornire manovalanza alla battaglia, mira a una educazione che garantirà la “sopravvivenza anche se il Califfato fosse sconfitto militarmente”.

Ora i “cuccioli del Califfato”, sono in una situazione di detenzione arbitraria senza che si stia pensando a un percorso di deradicalizzazione e reinserimento nei Paesi di origine. Costruire un futuro possibile per questi bambini e ragazzi è necessario, scrive Luca Geronico su Avvenire: il silenzio e l’oblio possono fare di al-Hol l’incubatrice di una internazionale del terrore pronta a rinascere.


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