A cura di @Giulio Cesare.
Riccardo Mardagan parla in un post per Zweilawyer della civiltà Maya, approfondendone in particolare la concezione del tempo e le differenze tra la loro concezione ciclica e quella lineare degli europei:
Se il romanticismo ottocentesco ha diffuso con un incredibile successo per tutta Europa una peculiare concezione di “tradizione” basata su una supposta “naturalità” della stessa, al contrario, certa storiografia del novecento, Hobsbawm in testa, ha scritto pagine e pagine per spiegare come sia importante considerare, almeno a livello metodologico, che la tradizione possa essere di volta in volta “inventata” (E. Hobsbawm, The Invention of Tradition, 1983).
Se infatti nella cultura “occidentale” la tradizione assume dei connotati ben specifici legati indissolubilmente alla scrittura (si pensi alle grandi opere di “etno-storiografia” di Erodoto e Tucidide, così come agli Annales di Ennio), nel mondo precolombiano la tradizione resta ugualmente sottoposta a un processo di conservazione che, tuttavia, passa attraverso una modalità orale o al più simbolica, come nel caso delle pinturas nahua.
Immagine da Flickr (Chris Evans).
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