The New Arab parla delle violenze contro i rifugiati siriani in Turchia, avvenute nel Luglio del 2024 in un clima di crescente xenofobia e conflitto tra turchi e arabi siriani.
Il 30 giugno, a Kayseri, nell’Anatolia centrale, sono scoppiate rivolte anti-siriane dopo l’arresto di un uomo siriano accusato di aver abusato sessualmente di una bambina siriana di sette anni. Residenti turchi, spinti da campagne razziste sui social media, hanno incendiato case e negozi di siriani, vandalizzato veicoli e chiesto l’espulsione dei siriani dal paese.
Amr Atassi, un rifugiato siriano di 34 anni, ha visto la sua auto e il suo negozio distrutti da una folla nel distretto di Turan. Nonostante abbia denunciato l’incidente alla polizia locale, non ha ricevuto alcuna protezione o rassicurazione.
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A seguito dell’attacco, Amr ha perso il senso di stabilità e sicurezzam e ora sta pianificando di lasciare la Turchia il prima possibile. La violenza si è rapidamente estesa ad altre province del paese, causando attacchi contro i siriani e le loro proprietà.
Oltre alla capacità dei social media di diffondere la disinformazione, un altro aspetto preoccupante per i rifugiati siriani è il rischio di vedere diffusi i dati personali su internet, che si è concretizzato in Turchia.
Le autorità turche hanno arrestato un ragazzo di 14 anni accusato di aver divulgato informazioni personali, tra cui dettagli sui passaporti e luoghi di residenza di oltre 3,5 milioni di siriani in Turchia. I dati sono stati diffusi su piattaforme social come Telegram e sono stati collegati a recenti violenze contro i siriani nel paese.
In risposta alle violenze la polizia turca ha arrestato più di 1000 persone e il presidente Erdogan ha accusato l’opposizione di avere fomentato la xenofobia per scopi politici.
Non solo alimentano un circolo vizioso dell’odio reciproco, ma le tensioni in Turchia hanno anche conseguenze sulla politica estera, non solo interna.
La fuga di dati e la settimana di disordini in Turchia hanno scatenato reazioni in diverse aree della Siria, tra cui Afrin, Ras Al Ain, Al Atareb, Al Ghazawia, Mare’a, Azaz, Jarablus e Al-Bab. I manifestanti siriani hanno rimosso e bruciato le bandiere turche, sostituendole con striscioni dell’Esercito Siriano Libero. Gli scontri a Afrin e Jarablus, entrambe vicine al confine turco, hanno portato alla morte di sette manifestanti durante sparatorie con le guardie militari turche all’interno del territorio siriano.
Il danno al consenso di Erdogan causato dalla presenza continua ai rifugiati infatti è una delle motivazioni principali per cui il suo governo sta cercando di fare passi sostanziali nella normalizzazione nei rapporti con Damasco, con il quale la Turchia aveva troncato i rapporti durante la guerra civile, quando Ankara ha occupato tramite un proxy il Nord della Siria, così da potere gestire la migrazione.
L’apertura della Turchia verso Assad preoccupa i siriani nelle aree di confine controllate dalla Turchia, così come in Turchia stessa, dove molti vivono già nella paura costante del rimpatrio a causa della repressione in corso contro quella che il governo definisce “migrazione illegale”. Secondo Erdogan, 670.000 persone sono già tornate nelle aree del nord della Siria sotto controllo turco.
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