Nel suo ultimo libro intitolato Un Green New Deal globale, l’economista e sociologo statunitense Jeremy Rifkin sostiene che il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili sarà finanziato coi fondi pensione della classe media; a tutto il resto, sostiene il saggista, ci penseranno le forze invisibili del mercato. Nel saggio Il mondo in fiamme, la scrittrice e attivista canadese Naomi Klein afferma che i posti di lavoro che scaturiranno dalla bramata rivoluzione ecologica saranno certamente dignitosi, ma, continua, un Green New Deal che sia davvero efficace dovrebbe prevedere degli strumenti che facciano in modo che gli stipendi a essi correlati non vengano dissipati nel mantenimento di uno stile di vita consumistico e quindi dannoso per l’ambiente. In un articolo pubblicato su Il Tascabile, il sociologo Alessio Giacometti recensisce entrambi i lavori.
Il Green New Deal è il piano di riforme per la completa decarbonizzazione dell’economia americana entro il 2030 che la parlamentare Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey hanno presentato al Congresso degli Stati Uniti lo scorso 7 febbraio. Il piano, apertamente progressista, ancora embrionale e caliginoso, è stato accolto con favore dai candidati democratici in corsa per le elezioni del 2020, mentre i repubblicani – sordi alle previsioni degli scienziati secondo cui la politica negazionista del Presidente Donald Trump potrebbe determinare nei prossimi dieci anni un aumento medio della temperatura mondiale compreso tra i 2°C e i 4°C – hanno tacciato la misura d’essere un inammissibile “manifesto socialista”.
Le quattordici pagine di risoluzione congressuale firmate Ocasio-Cortez e Markey si appellano a “dieci anni di mobilitazione nazionale” per far sì che gli Stati Uniti assumano “il ruolo guida nella riduzione delle emissioni a livello internazionale attraverso la trasformazione della propria politica economica”. È una proposta urgente e necessaria, visto e considerato che gli Stati Uniti rappresentano ad oggi il maggiore responsabile della crisi climatica in corso: mediamente, un americano nato nel 1960 ha infatti prodotto 1.100 tonnellate di CO₂ nell’arco della sua vita, tre volte quanto emesso da un coetaneo italiano, sei volte da un cinese e ventitré da un indiano.
Storicamente, la formula “Green New Deal” compare per la prima volta in un articolo pubblicato sul New York Times nel 2007 da Thomas Friedman, che ha più volte rivendicato la paternità del concetto. Da allora, la fortunata dicitura ha cominciato a farsi largo tra i movimenti neoambientalisti e le forze progressiste sino alla prima, vera ratifica politica con la risoluzione congressuale di Ocasio-Cortez e Markey, equivalente a una dichiarazione di intenti più che a una proposta di legge.
Immagine di Bart Everson tratta da Flickr.
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