La voce.info ospita uno studio che indaga una delle caratteristiche della politica italiana del dopoguerra: il clientelismo elettorale.
La riforma agraria del 1950 è la più imponente ridistribuzione di ricchezza della storia italiana. Creò anche un esteso sistema clientelare, rafforzando il consenso elettorale per la Democrazia cristiana. I risultati di uno studio sui comuni interessati.
Bruno Caprettini, Lorenza Casaburi e Miriam Venturini individuano tra le ragioni che favoriscono la nascita del clientelismo, oltre alla povertà e alla diseguaglianza, anche le politiche redistributive messe in atto per indebolire il fenomeno. Questi interventi secondo gli autori dello studio possono anche ottenere il risultato opposto, contribuendo a instaurare un meccanismo di riconoscenza che può gettare le basi per un voto di scambio o altri favori tra politici ed elettori.
Nel 1950, durante il governo De Gasperi VI, fu approvata un’ambiziosa riforma agraria (attraverso la cosiddetta legge stralcio). La riforma mirava a suddividere i grandi appezzamenti e ridistribuirli a piccoli contadini, che spesso già lavoravano la terra come mezzadri.
Lo studio si concentra sugli esiti di questa riforma.
La riforma agraria produsse un immediato beneficio elettorale per la Democrazia cristiana: già nel 1953, alle prime elezioni dopo il varo della legge, nei paesi che ridistribuirono la terra i voti Dc crebbero di 2 punti percentuali, un incremento che avvenne quasi interamente a scapito del Partito comunista. Quello che è forse più sorprendente è che nei quaranta anni successivi i benefici elettorali perdurarono e crebbero: tra in 1953 e il 1992 la Dc raccolse in media 3 punti percentuali in più nelle aree di riforma (+8 per cento). I profondi cambiamenti nella società e nell’economia italiana rendono questa persistenza particolarmente interessante.
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