In un articolo su Domani Daniele Rielli analizza brevemente il nuovo tribalismo che sembra affliggere sempre più il dibattito social; un tribalismo in cui affonderebbe ogni possibilità di dialogo costruttivo tra cancel culture, straw man, -ismi vari e conseguente etichettatura delle posizioni altrui.
La cancel culture più che un movimento progressista è la notte in cui tutte le vacche sono nere e ogni pensiero non allineato, per quanto di poco, è un pensiero estremo e inaccettabile. Una radice dell’attuale contrasto fra città e periferia, fra élite e popolo, fra media ed elettorato sta anche nel rifiuto che le seconde polarità di questi dualismi fanno di quello che ritengono uno stato di polizia del linguaggio che ha da tempo superato i confini dell’auspicabile e del civile per raggiungere i livelli dell’arbitrario.
Secondo Rielli, la pluralità delle opinioni e le sfumature del pensiero sono sempre più appiattite divenendo slogan, e gli slogan divengono sempre più il vero messaggio da veicolare a discapito di ogni analisi possibile.
Il massimalismo digitale è l’esatto contrario dell’argomentare tipico del logos occidentale e riporta in vita, seppur in forma virtuale, il tribalismo delle nostre origini. Si tratta di un meccanismo perverso che finisce inevitabilmente per avvitarsi su sé stesso alla ricerca dell’estrema purezza, ma la gara a chi è più puro finisce sempre molto male ed è un vortice pericolosamente simile a quello dei totalitarismi, perché chi non è d’accordo non è più “una persona con un’altra idea” ma un incivile, o talvolta persino “un inumano” ( è, cioè, La bestia).
La continua ed ostentata divisione in schieramenti, lo scontro gratuito o lo sbeffeggiamento di chi ha idee diverse minerebbero però le fondamenta della società futura, che a Rielli pare divenire sempre più incapace di mediare posizioni diverse.
Il problema però è enorme: una società incapace di affrontare i suoi problemi per il semplice fatto di essere troppo impegnata nei suoi conflitti tribali per occuparsi del merito delle questioni, non ha futuro perché non può reggere la complessità dei problemi che l’attendono.
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