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Il sapore del vino dei romani

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Secondo una ricerca recente, il vino romano aveva un sapore molto migliore di quanto si creda: ce ne parla Dimitri Van Limbergen per The Converstation.

Da una prospettiva moderna e scientifica, il vino bevuto dai Romani è spesso considerato inconsistente, di scarsa qualità e decisamente sgradevole e si pensa che i romani dovessero mascherarne i difetti addizionandolo di spezie, erbe e altri ingredienti.

It is alleged that Roman winemakers had to mask their products’ flaws by adding spices, herbs and other ingredients to the freshly pressed grape juice, which is known as must.

Uno studio recente su recipienti di terracotta utilizzati per la fermentazione del vino – sia antichi che contemporanei – ha messo in discussione le opinioni tradizionali sul sapore e la qualità dei vini romani, alcuni dei quali potrebbero addirittura rivaleggiare con i vini pregiati di oggi.

Many of the longstanding misconceptions surrounding Roman wine come from a lack of insight into one of the most characteristic features of Roman winemaking: fermentation in clay jars or dolia. Huge wine cellars filled with hundreds of these vessels have been found all over the Roman world, but until we began our study no one had looked closely at their role in ancient wine production.

Nella ricerca sono stati messi a confronto i dolia romani, grandi contenitori generalmente di terracotta usati per contenere derrate alimentari liquide, con i tradizionali recipienti di produzione georgiani, chiamati qvevri, che sono ancora in uso oggi.

Le somiglianze tra questo processo tradizionale, riconosciuto dall’UNESCO nel 2013, e le procedure di produzione del vino romano, insieme all’archeologia e ai testi antichi, indicherebbero che le due tipologie di vino potessero avere gusti e aromi comparabili.

A differenza dei contenitori di metallo o cemento utilizzati nella produzione moderna di vino, le giare di terracotta sono porose, il che significa che il vino è esposto all’aria durante la fermentazione. Tuttavia, questo contatto viene limitato rivestendo l’interno dei recipienti con una sostanza impermeabile. I Romani usavano un prodotto ottenuto dalla resina di pino, mentre oggi, in Georgia, viene applicata cera d’api neutra. Questo contatto controllato con l’aria produce ottimi vini, tipicamente con sapori erbacei, di noci e frutta secca.

La forma arrotondata delle giare fa sì che il mosto in fermentazione si muova, il che a sua volta porta a vini più equilibrati e ricchi. Allo stesso tempo, la base stretta impedisce ai depositi dell’uva di entrare in contatto eccessivo con il vino in maturazione, evitando così sapori aspri e sgradevoli.

Seppellendo i recipienti nel terreno, i produttori di vino romani potevano controllare la temperatura e fornire un ambiente stabile per la fermentazione e la maturazione durante i molti mesi che il prodotto trascorreva all’interno delle giare.

Buried clay jars encourage the formation of yeasts on the surface of the fermenting must. Many of these are what we call “flor” yeasts, a thick white foam layer that protects the wine from contact with the air. Ancient Greek and Roman texts are filled with descriptions of such surface yeasts in wines. Flor produces several chemicals, including sotolon, which gives wine a spicy taste. It also gives aromas of toasted bread, apples, roasted nuts and curry. This is a sensory profile quite comparable with the herb fenugreek, which the Romans often added to grape must to strengthen this desirable flavour.

In sintesi secondo questi studi, il vino romano aveva un sapore “speziato” e profumava di pane tostato, mele, noci tostate e curry. In Francia e in Italia si stanno studiando questi antichi metodi di vinificazione, provando ad applicarli ai vini moderni.

Evidently, the Romans were well aware of many different techniques to master and alter the qualities of their wines. By varying the size, shape and the position of dolia, Roman winemakers were able to have great control over the end product, as Georgian winemakers do today. Our research emphasises the value of comparing ancient and modern wine production techniques. It not only debunks the alleged amateurish nature of Roman winemaking, but it also uncovers common traits in millennia-old winemaking techniques. In some parts of Europe today, including France and Italy, modern winemakers are reviving these ancient methods to produce “new” clay jar wines. While such wines are often mistakenly termed “amphora wines” (amphorae were two-handled earthenware vessels used to transport wines and other liquids, not store them) they show the robustness of clay jar winemaking, and the cyclical nature of wine history.


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