Su suggerimento e a cura di @Spi.
Si sente spesso dire che, soprattutto nel primo mondo, si vive sempre meglio, ma per quanto in generale questi fatti siano indiscutibili, non è sempre necessariamente vero che ogni gruppo sociale ne benefici allo stesso modo. Quello che però è particolare nel caso riportato da questo articolo del Washington Post è che il gruppo d’eccezione degli ultimi anni non è parte di una minoranza discriminata. Si tratta dei bianchi caucasici americani, con un grado di istruzione fino al diploma superiore, un gruppo che costituisce il 40% della popolazione statunitense. I dati sono tratti da un articolo del premio Nobel Angus Deaton e di sua moglie, Anne Case.
Per la precisione, negli ultimi 16 anni, si è osservato un significativo aumento della mortalità nella fascia d’età tra i 45 e i 54 anni (+0.5% all’anno, contro un declino stabile di -2% l’anno nei 20 anni precedenti). Per fare una stima, se in questi 16 anni il tasso fosse rimasto invariato al -2%, vi sarebbero state 500 mila morti in meno.
Quello che è particolarmente preoccupante, però, non è solo l’inversione del tasso di mortalità, ma le cause: le cause naturali come infarto e diabete sono stazionarie o in leggero calo. Al contrario, sono in rapido aumento le morti dovute a intossicazioni, malattie epatiche legate all’uso di alcol e morti collegabili all’eroina. Di più, questo è vero in tutto lo stesso gruppo sociale, anche in altre fasce d’età tra i 30 e i 60 anni, dove pure il tasso di mortalità è ancora in diminuzione grazie al calo più marcato nelle altre cause.
L’articolo si spinge oltre, confrontando questi dati con quelli delle stesse fasce d’età in ispanici e afroamericani. Sebbene questi ultimi abbiano ancora i tassi di mortalità più alti in assoluto, nessuno dei due gruppi mostra un simile aumento. Nel caso degli ispanici, il tasso è in rapida diminuzione, seguendo un andamento del tutto simile ai principali paesi sviluppati in Europa, così come Australia e Canada. L’articolo del Washington Post non riporta dati relativi all’Italia, ma questi sono liberamente disponibili dal ricchissimo sito dell’Istituto Superiore di Sanità, consultabile qui.
Nonostante l’interfaccia non troppo intuitiva, si possono visualizzare i dati e disegnarli, ottenendo questo grafico:
Nel grafico riportato compaiono gli anni dal 1980 (quindi 10 anni prima di quelli nell’articolo linkato); concentrandosi sugli anni dal 1990 in poi si vede che l’andamento italiano è quasi identico a quello della Svezia, il migliore tra quelli riportati dal Washington Post.
Sempre per confronto con l’altra immagine dell’articolo, i dati divisi per l’Italia mostrano che il tasso di morti in qualche modo correlabili all’abuso di alcol o altre droghe è costante o in alcuni casi in calo (dal 2002 i dati hanno leggermente cambiato formato; prima del 2002 non erano disponibili i dati sui suicidi, ad esempio, e dal 2002 non sono più disponibili quelli per avvelenamento):
Infine, tra i bianchi americani, altri indicatori di salute per la stessa fascia sociale sono pericolosamente in aumento: il numero di malattie è in aumento, come anche il numero di persone che riportano dolori fisici. Deaton e Case hanno prodotto anche un articolo in cui dimostrano che i dolori fisici sono un forte fattore predittivo del suicidio.
Non è sorprendente che il problema sia considerato grave anche da un punto di vista economico: questo nutrito gruppo di persone si avvicina alla pensione e un aumento di malattie gravi in questa fascia di popolazione porterà inevitabilmente ad un importante aggravio per la sanità americana.
Grafici di @Spi, immagine da Wikimedia Commons.
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