Un articolo di Fame di Sud ripercorre la storia del vaso di Assteas, uno straordinario vaso greco del IV secolo a.C. scoperto in Campania nel 1974 da un tombarolo e finito successivamente, attraverso il mercato illecito dei beni archeologici, nel celebre Getty Museum di Los Angeles. Il prestigioso reperto è stato infine restituito al nostro Paese, dopo una lunga e complessa indagine, nel 2005.
“Il toro ha il colore della neve che non è mai stata calcata dalla pianta di un duro piede né sciolta dall’Austro piovoso.(…) Nessuna minaccia in fronte, lo sguardo non fa paura, il muso è in pace. Lo contempla la figlia di Agenore…come è bello, e non minaccia battaglie; ma, per quanto mite, lei ha dapprima paura a toccarlo, poi gli si accosta e porge fiori davanti al candido muso. Ne gode l’innamorato e, in attesa del piacere che spera, le bacia le mani (…) ora scherza e le salta intorno sull’erba verde, ora stende il candido fianco sulla sabbia bionda e, tolto un po’ alla volta il timore, le offre il petto da toccare con la mano virginea, e le corna da inghirlandare di fiori freschi”.
In queste parole del celebre poeta latino Ovidio è racchiusa tutta la magia del mito, quello del ratto della principessa fenicia Europa da parte di Zeus manifestatosi in forma di toro. Questo episodio, cristallizzato in un’immagine di classica bellezza, lo vediamo campeggiare sul lato principale di quello che in molti considerano il vaso greco più bello del mondo: il Cratere di Assteas, splendido manufatto modellato e dipinto tra il 350 e 320 a.C. nella bottega di uno dei ceramografi più rinomati dell’antica città fondata da Sibari sulla costa tirrenica col nome di Posidonia, ridenominata Paistom dai Lucani e Paestum dai Romani. La paternità dell’opera – un cratere a calice a figure rosse – è comprovata dallo stesso autore che se lo attribuisce con una iscrizione nel corpo centrale del vaso: “ΑΣΣΤΕΑΣ ΕΓΡΑΦΕ“ (Assteas dipinse). Titolare di un grande laboratorio in cui si producevano hydriai e crateri – i primi destinati a contenere acqua e i secondi usati per mescolare il vino con varie spezie, secondo il rituale del simposio greco, decorati soprattutto con scene mitologiche e teatrali -, è uno dei pochi artisti dell’antichità di cui ci sia pervenuto il nome.
Al centro del furto del vaso, una storia di ricettatori internazionali, criminalità organizzata, i Carabineri del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale, e persino una tragica fatalità
Pasquale Camera aveva appena pranzato in un ristorante di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) quando si infilò nella sua Renault 21 e imboccò l’autostrada Napoli-Roma. A Fiumicino lo attendeva una nota e spregiudicata antiquaria svizzera di Zurigo, conosciuta col nikname di Frida, solita venire in Italia per procurarsi antichità. Ma, raccontano le cronache, tra le 14.30 e le 15.00 di quel giorno, all’altezza di Cassino, l’uomo perse il controllo dell’auto schiantandosi contro il guardrail e morendo sul colpo. […] Le forze dell’ordine intervenute sul luogo dell’incidente rinvennero nell’auto dell’uomo alcune foto di reperti archeologici per cui decisero di allertare i Carabinieri. Tra quelle immagini compariva la polaroid di un vaso greco che – si sarebbe accertato in seguito – altro non era che il Cratere di Assteas.
Immagine: il ratto di Europa, particolare del cratere di Assteas, da Wikimedia Commons
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