Riflettendo sul concetto di casa da un punto di vista prettamente psicologico e sociale, Simone Sauza esplora su Il Tascabile funzione e senso dell’abitazione – e perciò il rapporto tra questa e i personaggi che vivono tra le sue mura – nella letteratura gotica e nel cinema horror, le cui produzioni risentirebbero da sempre degli influssi esercitati dall’evoluzione tecnologica.
In un brano di Pastorale americana di Philip Roth, uno dei personaggi, parlando della propria casa, afferma: “Tutti ne abbiamo una ed è lì che tutto va storto”. Dare una definizione della parola casa dovrebbe essere un compito facile. Il significato di questo lemma è qualcosa che ci appartiene ben prima di un’elaborazione semantica; qualcosa che conosciamo in maniera immediata. Eppure la casa si dice in molti modi; può assumere, per ogni persona, sfumature molto diverse. Allo stesso tempo, è il nido in cui trovare riparo, l’inferno da cui fuggire, l’espressione della nostra interiorità, l’archivio dei ricordi e delle inquietudini intrecciate nei fili del passato. La casa, nella psicologia e nella cultura occidentale, oscilla tra l’intimità e il perturbante. Cinema e letteratura hanno usato spesso la casa come hidden character: dalla Xanadu di Orson Welles alle case infestate delle atmosfere gotiche e horror, assumendo sempre più i tratti di metafora dello spazio psichico, di luogo in cui si manifesta il ritorno del rimosso. Quello gotico, ad esempio, è forse l’immaginario letterario più potente elaborato dalla cultura occidentale per mettere in discussione il senso di concetti come “familiare”, “intimo” e “proprio”. Cosa ci appartiene della nostra casa? Cosa possiamo controllare e cosa conosciamo delle tracce invisibili inscritte tra le mura? Cosa ci dicono della nostra vita?
Immagine da Wallpaper flare.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.