Andrea Gaiardoni su BoLive, il magazine informativo dell’Università di Padova, racconta la crisi idrica che sta vivendo l’Uruguay, uno stato dell’America latina grande poco di più della metà dell’Italia, con una popolazione di appena 3,5 milioni di abitanti. Una parte del suo territorio, quella settentrionale, è caratterizzata da un clima subtropicale e un’altra, quella meridionale, da un clima mediterraneo.
Il bacino idrico che serve l’area metropolitana attorno alla capitale uruguaiana, il Canelón Grande, è oramai a secco, svuotato da tre anni consecutivi di siccità (che sta colpendo duramente l’intero Sud America). Per evitare ulteriori carenze, e sperando invano nell’arrivo provvidenziale di qualche pioggia, i tecnici dell’Ose (Obras Sanitarias del Estado), la compagnia statale che fornisce acqua potabile su tutto il territorio nazionale, hanno gradualmente aggiunto acqua salmastra, prelevata dall’estuario del Rio de la Plata, al bacino principale del Paso Severino, che copre circa il 60% del fabbisogno nazionale. Per l’Uruguay è la più grave siccità degli ultimi 74 anni. Il bacino di Paso Severino, che in condizioni normali avrebbe una capacità di 67 milioni di metri cubi di acqua, a giugno era sceso a 3,5 milioni. Lo scorso 10 luglio era ulteriormente diminuito ad appena 1,9 milioni di metri cubi, segnando il record negativo nella storia del paese.
Da tempo ricercatori e attivisti denunciano l’impatto ambientale di agricoltura, silvicoltura e allevamenti che fanno sì che solo una piccola parte delle risorse idriche venga riservata al consumo umano. Ne parla in un report RAP-AL, l’organizzazione contro l’utilizzo dei pesticidi in America Latina:
In Uruguay, la maggior parte dell’acqua non è destinata al consumo umano né rimane nel paese. L’acqua utilizzata nella produzione di riso nel 2019 ha rappresentato quattro volte l’acqua totale purificata per il consumo umano nel paese. La quantità di acqua necessaria per la produzione di polpa di legno era dieci volte superiore all’acqua consumata dalla popolazione. Per la produzione di soia 17 volte di più e per la produzione di carne 20 volte di più. Nel 2019, le quattro attività insieme hanno consumato 18.537 milioni di metri cubi di acqua, mentre la produzione di acqua potabile è stata di 356 milioni di metri cubi.
L’ex Presidente Pepe Mujica chiama in causa la politica:
La cosa più drammatica è che continueremo a non reagire a queste cose, come se per noi fosse difficile comprendere cosa sta accadendo. Non assimiliamo, nella nostra cultura quotidiana, che l’umanità è diventata un fenomeno geologico che ha un’influenza sugli equilibri del pianeta. Stiamo modificando drasticamente tutto e sembra che non abbiamo il coraggio intellettuale di modificare il nostro comportamento in relazione ai cambiamenti che provochiamo».
La crisi idrica dell’Uruguay ha in aggiunta ai danni la beffa di verificarsi nel primo paese al mondo che ha reso nella propria costituzione nel 2004, l’acqua pulita come un diritto umano fondamentale.
Come suggerisce Raúl Viñas, meteorologo e membro del Movimiento por un Uruguay sostenible (Movus), la soluzione è in quattro mosse: riparare le reti idriche per evitare le enormi perdite, generare più riserve idriche in aree pulite (impedendo ai prodotti agrochimici e alle sostanze organiche di raggiungere i corsi d’acqua), cercare nuove fonti di acqua dolce ed educare, sia le persone sia le industrie. «Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare all’acqua e capire che è una risorsa finita, scarsa e costosa».
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