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La nascita di uno scrittore: Gadda e il «Giornale di guerra e di prigionia»

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Davide Brullo su il Giornale recensisce la nuova edizione Adelphi del «Giornale di guerra e di prigionia» di Carlo Emilio Gadda.

Il Giornale di guerra e di prigionia racconta la Prima guerra mondiale con gli occhi di un tenente sul fronte isontino. L’opera restituisce un Gadda che non conosciamo, lontano dalla prosa ricca, complessa, esasperata che furono la sua cifra stilistica. È l’autore stesso ad avvertirci:

Nessuna preparazione e nessuna cura nel redigere quanto scrivo qui. Perciò, oltre a mancanza d’ordine, nel senso più elaborato e quasi artistico della parola, anche scorrettezze esteriori d’ogni genere; pensieri ripetuti; prolissità o insufficienza, secondo il tempo e la voglia; dissonanze, parole ripetute, goffaggini; errori di grammatica, lingua impura, talora altre lingue o il mio gergo interiore, (formazione storico-simbolica); ortografia per lo più esatta, ma non garantita; punteggiatura come vien viene. Scrivo senza levar la penna dalla carta.

L’edizione Adelphi, curata da Paola Italia, è la prima completa, grazie ai sei nuovi taccuini che la Biblioteca nazionale centrale di Roma ha acquisito nel 2019 dagli eredi Bonsanti.

Oggi piove schifosamente: un’acqua fottuta, un’umidità boja, una melma al controcazzo. (Campiello, 31 agosto 1916)

Col proseguire del diario emerge quello che diverrà Gadda scrittore, ma anche i segni brutali della guerra sulla psiche del giovane tenente:

Soffro si per la famiglia, per la patria, specie nei gravi momenti: allora anzi l’angoscia mi prende alla strozza. Ma il dolor bestiale, il macigno che devo reggere più grave, la rabbia porca, è quella, che già dissi: è il mancare all’azione, è essere immobile mentre gli altri combattono, è il non più potermi gettare nel pericolo, ch’ero venuto ad amare sopra ogni cosa, come l’alcoolizzato ama sopra ogni cosa il veleno da che avrà la morte. […] Oh! Se ci fosse l’uso di uccidere i prigionieri! Caporetto non sarebbe successo, o, se fosse successo, io non sarei qui.

Secondo Brullo la spaccatura tra il Gadda scrittore e il soldato rispecchia quella della letteratura in generale. Letteratura che vive del ricordo, è scritta da chi alla vita è sopravvissuto e che «è sempre reduce, è sempre un resto, il favo di miele nel corpo scannato dalla bomba».


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