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La via dell’ignoranza

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L’indiscreto pubblica un lungo estratto da “Il fuoco della fine del mondo, Meditazione sulla vita e sull’ambiente” di Wendell Berry.

Wendell Berry è un romanziere e un poeta nordamericano, agricoltore, attivista ecologista e pacifista. La presentazione del suo libro sul catalogo Aboca così recita:

Superata la soglia degli ottanta, Wendell Berry lavora ancora la terra della sua fattoria nel Kentucky servendosi di cavalli e non lo fa per cedere al fascino della nostalgia, ma perché i cavalli garantiscono un risultato migliore dei trattori e avere a che fare con loro dà maggiori soddisfazioni.
Si è valutato che almeno la metà della parte superficiale fertile dei terreni agricoli sia stata spazzata via da quella guerra contro la natura che chiamiamo agricoltura industriale. Se proseguiremo con i ritmi attuali nella nostra opera di erosione, avvelenamento, accumulo di scarichi tossici, fra cinquanta o sessant’anni resteremo senza suolo fertile… Proprio per questo Berry non si arrende e continua a schierarsi in difesa delle terre e delle comunità che le abitano. E in questi scritti lo fa in maniera ancora più calda e accorata. I testi qui raccolti sono, infatti, il risultato di una vita trascorsa con le mani immerse nella terra, prestando l’orecchio alla musica dei ruscelli, pagine appassionate che elogiano i paesaggi locali, celebrano il patrimonio culturale e i lati più taciuti della storia americana.

Le parole di Berry chiariscono fin dall’inizio le preoccupazioni dell’autore che sono sostanzialmente legate alla diffusa presunzione di poter prevedere le conseguenze delle nostre azioni su larga scala, un insieme di ignoranza e arroganza che è causa delle previsioni errate e dell’incapacità di prevenire.

Il nostro scopo, qui, è di richiamare una preoccupata attenzione sul fatto che, in un periodo in cui la tecnologia ha un potere tanto grande, stia prevalendo la convinzione che gli esseri umani siano già giunti a possedere, o siano comunque molto vicini o possedere, tutte le conoscenze necessarie per prevedere e prevenire tutte le cattive conseguenze che dall’uso di quel potere potrebbero derivarle. Questa convinzione trova una sua formulazione esemplare nelle parole di Richard Dawkins, che, in una lettera al Principe di Galles, asserisce che “le nostre menti sono abbastanza grandi da vedere nel futuro e tracciare le conseguenze a lungo termine”. Quando si passino in rassegna i casi di errori nelle previsioni sul futuro dei nostri maggiori esperti e se ne consideri il numero e la tendenza a riproporsi anche in tempi assai recenti, nonché la frequenza con cui il futuro tende ad anticipare ogni nostra previsione, recandoci notizie non buone in merito al nostro passato, il giudizio espresso dal signor Dawkins sulla nostra capacità di conoscere si rivela una credenza ingenuamente superstiziosa, del tipo più primitivo. Vi riconosciamo anche i tratti di una nostra vecchia compagna, la hybris, quell’empia ignoranza ammantata da un’esibizione di divina arroganza.

L’ignoranza arrogante promuove un’economia globale, ignorando il corteo globale di infestanti e malattie che devono necessariamente accompagnarla. L’ignoranza arrogante fa la guerra, senza avere la minima idea della pace.Noi la identifichiamo per la sua radicata disposizione a lavorare sempre su una scala troppo grande, mettendo quindi sempre troppe cose a rischio. Non le riesce di prevedere le cattive conseguenze, non solo perché ogni atto ha qualche conseguenza non prevedibile, ma anche perché molto spesso gli ignoranti che sono anche arroganti sono accecati dal denaro che hanno investito: non possono permettersi di pensare che le cattive conseguenze siano prevedibili.

Berry cerca di contrapporre la visione delle corporation a quella che T.S. Eliot chiamava “la via dell’ignoranza”: la prima ha un’impostazione basata sul male minore:

L’impostazione adattata dalle corporation, nell’agricoltura o nella manifattura o nella medicina o nella guerra, è quella di chi aiuta a rischio di far male, talvolta anche molto male. E una volta che il rischio del male possibile sia stato valutato e giudicato “accettabile”, quello che ne risulta è spesso un’assurdità: distruggiamo un villaggio per salvarlo, abbattiamo la libertà per salvarla; distruggiamo il mondo per poterci vivere. 

Mentre Berry preferirebbe prevalesse una sorta di ignoranza consapevole che si rende conto dei limiti della conoscenza:

Sto tentando di seguire quella che T.S. Eliot chiamava “la via dell’ignoranza”, perché penso che quella sia la via più adatta per chi è ignorante. Penso che l’intenzione di Eliot fosse quella di farci comprendete che la via dell’ignoranza è quella raccomandata da tutti i grandi maestri. Sono certissimo che fosse la via raccomandata da Confucio, perché chi mai, se non gli ignoranti, vorrebbe portare la propria conoscenza sino all’estremo? Chi mai, se non gli ignoranti consapevoli, potrebbe sapere che c’è un “estremo” per la conoscenza?

La speranza finale di Berry è quindi che questa nuova via porti a una sorta di ravvedimento da parte di chi segue e partecipa alle politiche delle corporation, accompagnata da una valutazione diversa del passato che nasce dalla “saggezza dell’umiltà”.

Se un numero sufficiente di noi riconoscerà “la saggezza dell’umiltà”, attribuendo al modello che sempre si rinnova l’onore che gli è dovuto e accettando ogni momento, “con stupefatta sorpresa / una valutazione nuova di quanto siamo stati”, allora la mente delle corporation ne verrà scossa e poi cesserà di esistere, quando chi ne partecipava inizierà a dissentire e ritrarsi.


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