Il sito di analisi geopolitica Difesa Online propone una riflessione sul ruolo militare della Turchia nel Mediterraneo: le recenti tensioni dovute alla deriva autoritaria e alle provocazioni del suo presidente, Recep Tayyip Erdoğan. L’ultimo esempio sono state le minacce, poi ritirate, di espellere dieci ambasciatori, rei di aver firmato un appello per la liberazione di Osman Kavala, imprenditore e attivista civile turco, imprigionato dal 2017.
Le prime mosse del presidente Erdoğan, subito dopo la sua elezione nel 2002, avevano fatto ben sperare la comunità internazionale, grazie all’inaugurazione della strategia del “nessun problema con il vicinato”, che aveva portato a un cessate-il-fuoco con i curdi del PKK, alla firma di un protocollo di normalizzazione dei rapporti con Yerevan, a un allentamento delle tensioni nell’Egeo, a un’intensificazione dei commerci con i paesi arabi e al proseguimento del negoziato di adesione all’Unione Europea, in un’ottica di ulteriore avvicinamento all’Occidente. Invece, nonostante questo promettente avvio, è successivamente emersa una visione neo-ottomana di un recupero di influenza regionale, che ha fatto comprendere che Erdoğan avrebbe interpretato il ruolo di presidente della Turchia in maniera sensibilmente più spregiudicata dei suoi predecessori.
Oggi la Turchia sta vivendo una situazione delicata. La sua economia è attualmente in grande difficoltà: la Banca Centrale ha tagliato i tassi per il terzo mese consecutivo, l’inflazione galoppa e la lira turca è ai minimi storici. La crisi economica potrebbe avere ripercussioni su alcuni degli aspetti più importanti di politica internazionale in cui è coinvolta: l’aspetto migratorio, visto che presidia uno dei corridoi principali di accesso per i migranti all’Europa; quello energetico, con lo sfruttamento di grandi giacimenti di gas naturale nel Mar del Levante, vicini al territorio illegalmente occupato di Cipro Nord; e quello geopolitico, in equilibrio fra l’appartenenza alla NATO e il ruolo di leader che sta cercando di ritagliarsi nel mondo arabo-islamico, in competizione con l’Egitto e l’Arabia Saudita.
In tal senso vanno infatti interpretate le decisioni dell’estate 2020, che hanno portato a trasformare in moschee il museo di Hagia Sofia, luogo di immenso valore storico, artistico e religioso, e un importante reliquiario della tradizione cristiana bizantina a Istanbul, la chiesa di San Salvatore in Chora. In effetti, la Turchia sembra avere ormai imboccato una strada che, nelle intenzioni di Erdoğan, dovrebbe permettere ad Ankara di proseguire il percorso di allontanamento dei propri interessi politici e militari con l’Occidente e di riavvicinamento al Medio Oriente, con lo scopo di tornare a essere un importante attore anche in quelle aree dalle quali era stata allontanata dopo la caduta dell’impero ottomano, all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale.
Immagine da Pixabay.
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