A cura di @NedCuttle21(Ulm).
In un articolo pubblicato su Jacobin Italia, Marta Fana ripercorre la storia della lotta al potere mafioso indagandone la matrice politico-sociale.
La mattina del 9 maggio 1978, gli italiani furono svegliati dal lutto provocato dall’uccisione del segretario della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, per mano delle Brigate rosse. La stessa alba, più a sud, nel piccolo comune siciliano di Cinisi, la polizia ritrovava il corpo di Giuseppe Impastato, detto Peppino, giovane militante antimafia, ammazzato da Cosa nostra, la mafia siciliana. La sua figura viene commemorata, sebbene non quanto dovrebbe, ogni anno, come esempio dell’impegno dei giovani contro quella che fu l’organizzazione criminale più potente in Italia, e che sicuramente lo è tutt’oggi ancora in Sicilia. È un ricordo da memoria condivisa, non partigiana, eppure sulla sua lapide si legge ancora «rivoluzionario e militante comunista. Ucciso dalla mafia democristiana». La rimozione del carattere politico dei soggetti che nei secoli hanno contrastato la mafia è diventata quasi una prerogativa della memoria italiana.
Immagine da Wikimedia.
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