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Nata povera

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Su Vanity Fair, l’intervista a cura di Monica Coviello alla scrittrice scozzese Kerry Hudson.

Autrice di un recente memoir, Nata povera, da poco pubblicato in Italia da Antonio Mandese Editore, la Hudson nell’intervista spiega le ragioni dietro la scelta di scrivere della sua difficile infanzia.

«Avevo sei anni, eravamo appena arrivate a Canterbury e mia madre, con le ultime monete, chiamava gli hotel per implorare un posto in cui dormire, promettendo che i soldi degli aiuti statali sarebbero arrivati. Sentivo chiaramente la precarietà della nostra esistenza».

Crescere in povertà non vuol dire solo fare i conti con la mancanza di cibo o vestiti. Significa imparare troppo presto il peso dell’instabilità, della vergogna, dell’insicurezza. Kerry Hudson, classe 1980, oggi famosa scrittrice e docente presso la National Academy of Writing di Cambridge, lo sa bene: la sua infanzia è stata segnata da continui traslochi tra alloggi in comune e roulotte, con una madre single senza alcuna rete di supporto. Eppure, da quella realtà dura, Hudson è riuscita a emergere, trasformando il proprio vissuto in un atto di denuncia.

Il suo memoir, Nata povera (appena pubblicato in Italia da Antonio Mandese Editore) è un viaggio a ritroso per comprendere cosa significhi davvero crescere ai margini e conoscere presto la povertà, la malattia mentale, le dipendenze e la violenza.


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