A cura di @SebastianoA.
Storia di uno degli oggetti celesti più affascinanti, ed il più freddo finora conosciuto.
Nel 1977 nei pressi di Sutherland, in Sudafrica, gli astronomi G. Wegner e I. S. Glass, durante la campagna osservativa Quick Blue di ESO (European Southern Observatory), individuarono una nebulosa fino ad allora sconosciuta, distante 5000 anni-luce dalla Terra, nella costellazione del Centauro. Attraverso un telescopio del SAAO (South African Astronomical Observatory) osservarono l’agglomerato interstellare di polvere e gas: aveva una stella centrale circondata da un disco equatoriale di forma toroidale composto da piccole particelle di materia, ed il disco la oscurava se la nebulosa veniva vista di taglio; la stella era posta tra due lobi simmetrici di materiali gassosi: la nebulosa era bipolare: questi flussi molecolari fuoriuscivano di continuo dai poli della stella, irradiando venti che della nebulosa modellavano la forma, a “farfalla” o a “papillon”. La scoperta venne pubblicata nel 1979 nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (a pag. 3 del PDF la lastra fotografica nel blu della nuova nebulosa, ottenuta usando un correttore Wynne applicato al riflettore Newton di 1.88-m).
South African Astronomical Observatory (SAAO), Sutherland; crediti: Pschella
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Un anno dopo la scoperta, venne pubblicata, dalla stessa rivista, un articolo che aggiunse maggiori dettagli illustrando i risultati di una ricerca svolta dagli scienziati K. N. R. Taylor e S. M. Scarrott tramite il telescopio AAT (Anglo-Australian Telescope), assieme al polarimetro Durham, di SSO (Siding Spring Observatory), in Australia, a 1000 metri d’altitudine: la nebulosa era protoplanetaria, ovvero in uno stadio di transizione in cui stava evolvendosi verso una di tipo planetaria, in cui la stella centrale attraversava gli ultimi stadi della sua vita, una gigante rossa prossima a diventare una nana bianca, espellendo la materia gassosa assieme agli strati superficiali attraverso il vento stellare; tutt’ora si trova in questo stadio. Confermarono la presenza del disco equatoriale e definirono allineate le particelle che lo costituivano, e quindi illustrarono quanto fortemente polarizzata fosse la nebulosa, ed i suoi due lobi in realtà non diametralmente opposti: fu quest’ultima caratteristica a suggerire ai ricercatori il nome di Nebulosa Boomerang; sulla polarizzazione tornerò più avanti nell’articolo.
Siding Spring Observatory (SSO), Coonabarabran; crediti: Ssopete
Un’immagine ad alta definizione della nebulosa venne finalmente acquisita nel 1988 dai ricercatori R. Sahai e J. Trauger tramite la WFPC2 (Wide Field and Planetary Camera 2) installata a bordo del telescopio spaziale HST (Hubble Space Telescope), osservandola nella luce visibile.
Hubble Space Telescope (HST); crediti: ESA
La nebulosa, estesa da un’estremità all’altra per tre trilioni di chilometri, circa 21000 volte la distanza tra il Sole e la Terra che mediamente è di 149 milioni di chilometri, sembrava un immenso intreccio di polvere interstellare filato da una stella morente, i cui raggi, filtrando dal nastro che l’avvolgeva in un nodo, conferivano al fiocco una luce che pareva propria.
La Nebulosa Boomerang; crediti: NASA, ESA, R. Sahai e J. Trauger (Jet Propulsion Laboratory), WFPC2 Science Team
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La stella centrale è infatti luminosa abbastanza da far brillare per diffusione la polvere interstellare che compone la nube assieme al gas: i raggi di luce, i cui atomi irradiano in tutte le direzione, colpiscono le particelle, ed esse li diffondono riflettendoli polarizzati, ovvero irradiandoli con una certa orientazione su un piano, con una certa carica elettrica; nel caso della Nebulosa Boomerang è probabile che sia un forte campo magnetico a conferire ai grani di polvere la capacità di polarizzare.
Nel 2005 grazie sempre al telescopio Hubble, stavolta con l’ACS (Advanced Camera for Surveys) a cui venne applicato un filtro di luce visibile in combinazione a diversi filtri polarizzatori, che permettono quindi il passaggio soltanto alla luce di uno specifico angolo di polarizzazione; si potette ottenere una fotografia molto suggestiva della nebulosa: una combinazione di più immagini con differenti angoli di polarizzazione a cui sono stati assegnati dei colori per risaltare tutte le sfumature dell’oggetto celeste:
La polarizzazione della luce della Nebulosa Boomerang; crediti: NASA, ESA, Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
Tuttavia, fu nel 1995, in Cile, nel Deserto di Atacama, che gli astronomi Raghvendra Sahai e Lars-Åke Nyman, osservando la nebulosa attraverso il telescopio svedese submillimetrico SEST (Swedish-ESO Submillimetre Telescope) installato all’osservatorio di La Silla nel 1987, scoprirono il suo tratto più peculiare ed estremo. La stella centrale morente si trovava, nello specifico, nella breve fase evolutiva post-AGB, ovvero quella fase terminale di una stella del ramo asintotico delle giganti AGB (Asymptotic Giant Branch), un astro dalla massa intermedia che non ha ancora raggiunto una temperatura abbastanza elevata da ionizzare e cioè da conferire una carica elettrica al gas contenuto nell’inviluppo interstellare, ovvero un guscio formato da polvere e gas che avvolge la stella; nello stadio in cui si trovava al momento della ricerca, ed in cui si trova tutt’ora, subisce una serie di pulsi termici più ampi dei precedenti che causano una perdita più consistente della massa: la stella ha perso ogni anno una quantità di materia pari ad un millesimo di massa solare per 1500 anni (la massa di Giove è pari a circa lo 0,1% di quella del Sole, appunto un millesimo), 10-100 volte di più rispetto agli altri oggetti celesti simili; pulsazioni che causano l’espulsione dell’envelope, od inviluppo, in questo modo lasciando esposto il nucleo della stella, causandone un innalzamento della temperatura che, sostenuto dalla pressione di radiazione, è tale da produrre un vento molto violento, più di 590000 chilometri orari (164 km s-1), 100 volte di più rispetto ai corpi celesti della stessa natura, che spazza via il gas che per questi motivi è ultra-freddo: dunque la sorprendente scoperta: la temperatura del vento è pari a circa 1 Kelvin, -270 gradi Celsius, perfino al disotto di quella della radiazione cosmica di fondo (Tcmb = 2,7 K), vicino all’ipotetico zero assoluto corrispondente a 0 K, punto in cui le particelle smetterebbero di muoversi; in questa maniera facendo della Nebulosa Boomerang il posto più freddo finora conosciuto nell’universo.
La scoperta venne resa pubblica nel 1997 nella rivista The Astrophysical Journal; il laboratorio JPL (Jet Propulsion Laboratory) della Nasa, in California rilasciò un comunicato stampa pochi giorni dopo.
L’origine della Nebulosa Boomerang sarà oggetto di studio per molto tempo, e soltanto ventidue anni dopo gli scienziati riusciranno a svelare il mistero che si cela dietro un fenomeno tanto estremo.
Swedish-ESO Submillimetre Telescope (SEST), decomissionato nel 2003; crediti: ESO
Intanto, nuove fotografie arrivarono da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), un radiointerferometro composto da 66 antenne disseminate a distanza tra loro nelle Ande cilene a 5000 metri d’altitudine e che agiscono come un unico telescopio; un progetto nato dalla collaborazione internazionale tra ESO, NRAO (National Radio Astronomy Observatory) e NAOJ (National Astronomical Observatory of Japan).
Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), Piana di Chajnantor; crediti: ESO
ALMA permise di ottenere prima, nel 2005, un’immagine della Nebulosa che mostrasse il gas freddo molecolare del vento interstellare osservandola nella parte dello spettro submillimetrica; dopo, una ancora più chiara, ottenuta lo scorso giugno. Entrambi gli scatti, comunque, rivelano l’altra forma della Nebulosa, più allungata, di colore arancione; la struttura viola sullo sfondo è l’aspetto dell’oggetto astronomico visto in luce visibile attraverso l’HST.
2005, la Nebulosa Boomerang osservata nella parte dello spettro submillimetrica; crediti: Bill Saxton (NRAO/AUI/NSF), NASA/Hubble, R. Sahai
2017, la Nebulosa Boomerang osservata nella parte dello spettro submillimetrica; crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA/ESA Hubble, NRAO/AUI/NSF
Ma cosa accadde alla nebulosa Boomerang perché divenisse un corpo celeste tanto tormentato? Lo scorso 31 Maggio, a distanza di quarant’anni dalla prima osservazione, è stato pubblicato dalla rivista The Astrophysical Journal un articolo in cui gli scienziati Sahai, Vlemmings e Nyman danno finalmente una risposta: il team internazionale coordinato dal JPL sostiene infatti che la stella centrale della nebulosa fosse in principio binaria, cioè un sistema stellare formato da due stelle che orbitano intorno lo stesso centro di massa attraendosi reciprocamente, in cui una, la più luminosa, viene chiamata primaria, l’altra, compagna o secondaria; in seguito, sembra che l’orbita si sia ristretta finché le due stelle non ebbero un contatto, in cui la stella primaria, una gigante rossa, cedette parte della massa alla compagna, che ne fece un inviluppo proprio; i due astri allora condivisero i loro rispettivi involucri interstellari, in un inviluppo comune; ma perdendo via via molta energia il sistema binario diventò sempre più instabile e le due stelle si trovarono totalmente in balia dell’attrazione: nude sotto il loro guscio, il nucleo della stella secondaria avanzò a spirale verso il nucleo della stella primaria, finché questi finalmente si fusero, come in un bacio di Munch. L’interazione turbolenta tra le due stelle è secondo i ricercatori il fenomeno che giustificherebbe, a causa dell’energia gravitazionale rilasciata durante la fase dell’inviluppo comune e che costituisce la maggior parte dell’alta energia cinetica del vento ultra-gelido, l’espulsione dell’enorme quantità di massa all’elevata velocità che fa della Nebulosa Boomerang l’oggetto astronomico più freddo finora conosciuto nell’Universo.
Formazione di una nebulosa planetaria da un sistema binario; crediti: Hubble, STScI AVL
Quando la stella centrale raggiungerà i 30000 K, emetterà delle radiazioni ultraviolette che ionizzeranno il gas contenuto nella nube rendendolo incandescente, e che allo stesso momento distruggerà le polveri; la nebulosa diverrà planetaria. In seguito, col passare del tempo, la stella si raffredderà finché non riuscirà più ad ionizzare il gas della nube in espansione sempre più distante e meno visibile all’uomo; diventerà una nana bianca. Infine svanirà, teoricamente diverrà una nana nera; mentre il papillon di tessuto interstellare si disfarà del tutto nello nello spazio, continuerà a balenare nei ricordi.
Nel frattempo l’universo non smetterà di rivelare nuove e magnifiche sorprese, che da migliaia di anni ispirano gli umani a nuove ricerche, nuovi racconti e spettacolari imprese.
Il bacio, Edvard Munch, 1897; crediti: Google Arts & Culture
«Stelle morenti, come quella che originò la Nebulosa Boomerang, hanno un ruolo fondamentale nella formazione di sistemi solari come il nostro. Quando queste stelle muoiono sintetizzano e disperdono elementi come carbonio, azoto e polvere interstellare, spargendo i semi per la nascita di nuovi soli, e pianeti, e vita.» (Raghvendra Sahai, nel comunicato stampa del 1997 del laboratorio JPL)
Probabile traccia della colonna sonora: Vecchio frack (1955) di Domenico Modugno;
prima chicca: immagine in 3D della Nebula Boomerang;
seconda chicca: software per modificare online i colori della Nebulosa Boomerang.
Copertina tratta da Pixabay. Copyright immagini e video: ESA (SPACETELESCOPE.ORG), ESO, GOOGLE ARTS & CULTURE (WIKIMEDIA.ORG), JPL, NASA, NASA (HUBBLESITE.ORG), NRAO.
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