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Nel Regno Unito quasi tremila persone sono in prigione ingiustamente

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Il Guardian pubblica una serie di articoli riguardanti una particolare forma di detenzione nel Regno Unito, quella definita “per protezione pubblica”.

Introdotta nell’ordinamento britannico nel 2003 come prova pratica della propaganda governativa “tough on crime, tough on causes of crime” per punire gli autori di reati ripetuti di tipo violento o sessuale, la nuova legge prevedeva che oltre a un mimino di anni di galera per l’ultimo singolo reato il colpevole potesse essere condannato a una detenzione indefinita, o almeno fino a quando i giudici fossero convinti che il condannato non potesse più essere pericoloso.

Nella realtà la legge è stata applicata dai giudici anche ad autori di reati ripetuti di scarsa gravità, con la conseguenza che migliaia di persone sono state in galera per più di dieci anni per piccoli reati e decine di esse si sono ammazzate perché non vedevano la possibilità di uscire dal carcere.

Il ministro degli Interni che aveva proposto la legge riconosce che è stato un grave errore. 

La legge è poi stata abolita nel 2012 dopo l’intervento della Corte Europea per i diritti umani, ma le persone condannate rimangono ancora in carcere. Il presidente della Commissione Giustizia del Parlamento conclude la serie degli articoli con un intervento con cui invita il governo ad agire per liberare i quasi tremila detenuti che ancora sono sottoposti alle misure. 

Negli articoli le storie di alcuni dei condannati, raccontate dai parenti,  i quali mettono in evidenza che quelli che per la giustizia sono criminali inveterati per loro sono persone con infanzie difficili, con difficoltà di apprendimento, rieducazione in carcere inesistente.

La storia di Tommy Nicol, quella di Scott Riders, quella di Martin Myers.

 


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