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In un racconto autobiografico pubblicato su Longreads, la giornalista e scrittrice statunitense Christian Livermore riflette sugli effetti a lungo termine della povertà.

Il premio Nobel Amartya Sen ci dice che la vergogna è alla base della povertà. Chiunque sia cresciuto in povertà sa istintivamente che questo è vero. Sente la vergogna ogni minuto di ogni giorno, in sottofondo se si sente bene, in faccia se non si sente bene. La vergogna che già provavo stava per peggiorare e mi sarebbe rimasta impressa nelle ossa per sempre.

L’articolo inizia con una riflessione autobiografica: Livermore ricorda il suo passato a scuola e la “colpa” di non essere riuscita a concludere un progetto di scienze (il modellino di un vulcano) perché la famiglia non riusciva a permettersi l’acquisto dei materiali. Questo episodio e l’infanzia difficile lasciano ancora dei segni nei comportamenti in età adulta dell’autrice.

Allargando la prospettiva, Livermore illustra come le ferite personali e collettive non possano guarire perché non trovano spazio nel discorso pubblico. Negli Stati Uniti la povertà è un’ argomento indecente, di cui è meglio non parlare:

Non so esattamente quando ho rinunciato all’America. So solo che è stato molto tempo dopo che l’America ha rinunciato a me. Ci sono molte storie dell’America, ma questa storia è una di quelle che non sentiamo spesso. È la versione di noi stessi a cui non ci piace pensare, quella in cui i poveri non possono sempre tirarsi su con le proprie gambe, in cui non tutti i ragazzi intelligenti riescono a uscire dal ghetto. Quella in cui il Sogno Americano è una bugia. Come posso raccontarlo? Come faccio a raccontarlo in modo che possiate capire? Non per compassione, ma solo per farvi capire cosa ci ha fatto crescere poveri.

Raccontare la povertà diventa ancora più difficile quando mal si interseca — come nel caso di Livermore — con stereotipi affermati. Livermore è caucasica: la «povertà bianca», non facendo parte di una narrativa consueta per media, diventa doppiamente un’onta e altrettanto scomoda da riconoscere. Secondo Livermore non è un caso che negli Stati Uniti, anche in epoca contemporanea, si faccia molta fatica a parlare di classe:

La divisione artificiale tra bianchi e neri è stata inventata dai bianchi nei primi tempi della formazione dell’America attraverso il sistema giudiziario, in particolare dai bianchi ricchi. Avevano bisogno di un motivo per giustificare il loro diritto di trarre profitto dal lavoro degli altri, così hanno inventato le etichette. Bianco e nero. Esiste assolutamente una divisione tra ricchi e poveri, ma i ricchi preferiscono fingere che non esista. Altrimenti, sarebbe chiaro che hanno preso molto più della loro giusta quota e hanno lasciato il resto di noi senza.


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