Su suggerimento di @Mambombuti.
La partecipazione ai problemi e alle sofferenze di chi non appartiene al nostro gruppo, ossia che è in qualche modo “straniero” è tendenzialmente minore di quella che riserviamo ai membri del cosiddetto “in group”. Tuttavia, bastano poche esperienze positive con questi estranei per apprendere la capacità di esprimerla pienamente anche verso di essi. A dimostrarlo sono stati i ricercatori dell’Università di Zurigo e dell’University College di Londra che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Immagine di James Loesch da flickr
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.