Su Rivista Studio, Gabriele Carrer propone un ritratto di Ruth Davidson, l’ex leader del ramo scozzese del Partito conservatore.
Se è vero che la Brexit è un fenomeno tutto britannico, o più precisamente inglese, e che poco ha a che fare con il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione europea, allora c’è una notizia che merita probabilmente maggiore attenzione rispetto alle forzature parlamentari messe in atto dal nuovo primo ministro Boris Johnson nel tentativo di non dover chiedere a Bruxelles un nuovo rinvio della data d’uscita. Qualche giorno fa il ramo scozzese del Partito conservatore ha perso il suo leader, Ruth Davidson, che in otto anni aveva innovato e rinnovato i cuori che battono a destra oltre il Vallo di Adriano, raggiungendo risultati senza precedenti: nelle elezioni per il Parlamento di Holyrood del 2016, i conservatori scozzesi hanno scalzato dal secondo posto i laburisti spaventando i nazionalisti dello Scottish National Party (Snp) guidati da Nicola Sturgeon; l’anno successivo fu il nuovo risultato stupefacente del suo partito (passato da uno a 13 seggi su un totale di 59 «scozzesi» alla Camera dei Comuni) a salvare la faccia all’allora premier Theresa May che perse la scommessa di un voto anticipato per rafforzare il suo mandato sulla Brexit a Westminster.
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