Su suggerimento e a cura di @rhesus monkey
Negli anni ’70, i due principali partiti americani hanno affrontato un processo di riforma del sistema di selezione dei candidati, cedendo il potere di nomina alla popolazione attraverso un sistema di primarie più o meno aperte. L’intenzione era quella di aumentare la democrazia interna; tuttavia, i dirigenti Dem e GOP sembrano aver cambiato idea dopo la vittoria di Trump e l’ottimo risultato di Sanders, entrambi esterni ai rispettivi partiti e destinatari di un forte voto di protesta anti-establishment.
Emma Green su The Atlantic ha intervistato James Ceaser, professore di Politica Americana all’Università del Virginia, che sin dal 1979 aveva individuato le principali debolezze di questo sistema. Secondo Ceaser, una delle criticità principali è la trasformazione del partito in una public utility per la selezione dei candidati: ciò ha infatti permesso a candidati anti-sistema di candidarsi (e vincere, nel caso di Trump) contro lo stesso partito a cui chiedono la nomination. A tal proposito, dice ancora Ceaser,
At this point in American history, the idea that the people should speak is awfully strong. There are a lot of people in Washington today saying, “Oh, let’s go back to closed system – not only in parties, but in Congress. Do things behind closed doors. To heck with transparency – it’s nonsense anyhow.” The problem they are going to run up against is, yeah, there are good arguments for what they say – but are the American people going to swallow this?
Immagine da Flickr
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