Su suggerimento di @il repubblicante
Stando a quanto dichiarato nei sondaggi, l’immigrazione è stata la principale ragione dietro il voto per il Leave al referendum inglese. Altri sostengono che le cause siano da ricercarsi nello spaesamento generato dalla globalizzazione. Nuova evidenza empirica recentemente pubblicata sembra andare in questa direzione.
Italo Colantone e Piero Stanig, due ricercatori dell’Università Bocconi, hanno costruito un indicatore per misurare l’esposizione delle regioni europee allo shock commerciale generato, specificamente, dalla competizione cinese. I due autori evidenziano attraverso i loro risultati come una regione appaia a posteriori maggiormente propensa a votare leave, quanto più grande lo “shock cinese” subito nel periodo 1989-2007. Sorprendentemente, non sembra esserci evidenza di una correlazione tra flussi migratori e esiti del voto. Applicando il modello a contesti europei diverso da quello inglese, le conclusioni appaiono simili anche per le dinamiche elettorali oltremanica.
Stralci dal Washington Post e dal Financial Times:
“Regardless of what voters or pundits might be saying, we find that Leave votes were systematically higher in regions more affected by the surge in Chinese imports over the last three decades. And we find no evidence that the presence or influx of immigrants correlates with a region’s support for Brexit.
[…] It’s economic globalization, not immigration. Displaced British manufacturing correlates far more strongly with a pro-Brexit vote than immigration does, no matter what voters say after the fact. They might not realize it, but voters may actually want to leave the World Trade Organization or the global economy more than they want to leave the E.U.”
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