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Un futuro per la socialdemocrazia?

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La rivista Il Mulino ha pubblicato un articolo di Paolo Gerbaudo nel quale l’autore cerca di delineare la situazione attuale della socialdemocrazia, che sembra attraversare negli ultimi anni un periodo di declino.

Lo stato della socialdemocrazia è diventato ormai da anni uno di quei temi che vengono immediatamente associati a un forte pessimismo per il futuro. Lo stato della socialdemocrazia è diventato ormai da anni uno di quei temi che vengono immediatamente associati a un forte pessimismo per il futuro. Si parla di socialdemocrazia quasi esclusivamente per lamentarne il declino, specie nel contesto di dibattiti sul populismo di destra, la forza accusata di avere “rubato” alle forze di centrosinistra il loro tradizionale voto operaio. Uno dei termini più gettonati del dibattito politico nel decennio scorso è stato del resto “pasokizzazione”, per suggerire che molti partiti socialisti erano condannati allo stesso destino toccato al Movimento socialista panellenico di Papandreou; o quello per certi aspetti ancora più triste del Parti Socialiste francese costretto a causa del crollo di consensi e finanziamenti a chiudere la propria sede storica di Rue de Solferino. Si tratta solo degli esempi più eclatanti di una tendenza generale. Secondo uno studio firmato da Giacomo Benedetto, Simone Hix e Nicola Mastrorocco, se i partiti socialdemocratici europei un tempo avevano in media più del 40% dei voti adesso sono ridotti attorno al 20%. Il caso di relativo successo del Psoe spagnolo non dovrebbe illudere rispetto a tale fosco quadro generale. Il timore è che le prossime elezioni europee segneranno un’ulteriore batosta, specie vista la situazione disperata dell’Spd in Germania.

Pur partendo da una situazione oggettivamente difficile, Gerbaudo sostiene che la socialdemocrazia può ancora avere un futuro, poiché sta tornando ad acquisire rilevanza in un fase storica che vede la crisi del processo di globalizzazione e crescenti tensioni geopolitiche.

Si riaffacciano sulla scena politica occidentale tipiche tematiche socialdemocratiche: domande redistributive (come le richieste di nuovi sussidi viste in diversi Paesi negli ultimi anni), scioperi per l’aumento dei salari (come quelli del settore automobilistico Usa), politiche volte a creare nuovi servizi pubblici gratuiti (come i treni di breve e media distanza a costo zero in Spagna) e forme di politica industriale che vogliono determinare politicamente quello che il Paese deve produrre, in particolare ai fini della transizione ecologica.

Il dibattito sulla socialdemocrazia sembra riprendere vigore, secondo Gerbaudo:

Un esempio di questi dibattiti è la recente conferenza “Future of Socialdemocracy” che si è tenuta a fine settembre all’Istituto Remarque della New York University, fondato dallo storico britannico Tony Judt, famoso per le sue analisi dell’Europa nel dopoguerra e la costruzione dello Stato sociale.

In questa conferenza Patrick Weil ha riproposto il tema secondo il quale la socialdemocrazia dovrebbe ascoltare le paure diffuse tra le persone, una proposta che però non è stata accolta con molto favore dai conferenzieri che invece vedevano più utile appellarsi alle aspirazioni positive e alla ricerca di un maggiore benessere:

Nel suo intervento alla conferenza di New York, Patrick Weil, che era il membro più giovane nel comitato centrale del Partito socialista francese ai tempi di Mitterand, ha ripreso una famosa frase di Tony Judt in una lezione del 2009 secondo cui la socialdemocrazia del futuro sarebbe stata “una socialdemocrazia della paura”.

Secondo l’autore per affrontare la politica improntata sulla paura della destra e le sue soluzioni bisognerebbe tornare a difendere le persone dai mali della società, come premessa per un miglioramento delle condizioni di vita.

Tuttavia, in questa fase storica di declino e peggioramento delle condizioni di vita, è evidente che la paura è destinata ad avere un peso politico maggiore del desiderio e che il centrosinistra dovrebbe fare attenzione a non considerare con arroganza le paure dell’elettorato come irrazionali. Piuttosto bisogna interrogarsi su perché tali paure esistano, fare i conti con le loro radici a partire dalla condizione di declino sociale ed economico vissuto in tanti Paesi occidentali a partire dall’Italia e offrire risposte socialdemocratiche a tali paure.


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