Cos’è il mentalismo e perché la conoscenza delle tecniche su cui si basa questa particolare forma di illusionismo potrebbe rivelarsi utile per tutti quei movimenti che si oppongono allo status quo? A queste e ad altre domande prova a rispondere su Giap lo scrittore e prestigiatore Mariano Tomatis, autore di due volumi sulla storia del mentalismo intitolati rispettivamente “Mesmer – Lezioni di mentalismo. Dall’età della pietra all’età dell’anima” e “Mesmer – Lezioni di mentalismo. La zona del crepuscolo“. Al lungo articolo di Tomatis segue la prefazione al secondo dei lavori di cui sopra scritta da Filomena «Filo» Sottile.
Uno dei primi esercizi che si imparano quando si studia il mentalismo si apre con la semplice domanda: «Preferisci le carte rosse o le carte nere?» Il verbo «preferisci» segue una precisa strategia verbale: in una busta abbiamo chiuso un tre di fiori, e vogliamo creare l’illusione che una persona sia in grado di indovinare valore e seme della carta. Se la risposta è «Preferisco le nere», elimineremo le rosse e proseguiremo chiedendo se, tra i semi neri, preferisce «fiori» o «picche»; se invece risponde «Preferisco le rosse», diremo: «Bene, ti consegno le carte che preferisci e proseguiremo con quelle che mi restano in mano»; dimenticando le prime, proporremo dunque la stessa alternativa tra «fiori» o «picche».
Il nostro obiettivo è di arrivare al tre di fiori, eliminando ogni volta metà delle carte: a seconda che la scelta del pubblico combaci o meno con la carta nella busta, elimineremo la categoria selezionata o proseguiremo con quella. Al termine, avremo eliminato tutte le carte tranne il tre di fiori; aprendo la busta, si avrà la prova che le decisioni prese dal pubblico sono state tutte (misteriosamente) coerenti con il valore della carta nascosta.
L’inganno sta nel lasciare indeterminato l’intento della domanda, e stabilirlo solo quando si ottiene la risposta. Se chiedessimo «Quali carte vuoi eliminare – le rosse o le nere?» e ci rispondessero «le nere», non avremmo via d’uscita: il verbo «eliminare» non va bene perché non è abbastanza ambiguo. Lo scenario da allestire deve concedere una libertà limitata a poche opzioni; per ciascuna, inoltre, deve prevedere una strategia che conduca a un risultato stabilito in anticipo.
Per metterci in difficoltà, il pubblico potrebbe mettere in discussione la scelta binaria: l’alternativa tra le carte rosse e nere dà per scontato l’uso delle carte francesi (cuori, quadri, fiori e picche). Chi gioca abitualmente a «Uno» potrebbe rispondere che preferisce le carte blu. A Napoli si potrebbe optare per le carte gialle, facendo riferimento ai denari che – insieme a spade, coppe e bastoni – sono ritratti sulle carte regionali più note. Risposte del genere esprimerebbero una forma di resistenza, da parte del pubblico, al potere che stiamo incarnando: quello di chi stabilisce il materiale di gioco, le sue regole, lo spazio di azione consentito, la cornice interpretativa e le conseguenze delle scelte effettuate.
Il mentalismo è la branca della prestigiazione che studia, in particolare, le modalità di esercizio di questa forma di potere: nato da una smaterializzazione dell’illusionismo classico, è una disciplina teatrale che gioca con questioni filosofiche importanti – dall’esistenza del libero arbitrio alla direzione della freccia del tempo, fino alla possibilità di comunicare attraverso facoltà extrasensoriali.
Immagini da Flickr.
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