In un’intervista pubblicata su Left a cura di Rosella Simone, Aed Yaghi, medico palestinese e direttore del Palestinian medical relief society (Pmrs), illustra la situazione sanitaria nella Striscia di Gaza.
È difficile svolgere qualsiasi attività a Gaza, ma noi medici dobbiamo pensare oltre che a prenderci cura delle nostre famiglie anche delle altre persone, gente che vive in estrema povertà e chiede aiuto. Per noi medici che viviamo a Gaza, il problema più grande è la difficoltà di muoverci, di uscire dall’assedio, di fare esperienze professionali altrove. Israele impedisce infatti la formazione del personale medico. Le nuove tecnologie, internet, zoom, ci aiutano nella comunicazione con l’esterno ma manca la possibilità di fare esperienza diretta. Siamo sotto stress come persone e come medici, l‘occupazione ci toglie vita ma la nostra resistenza continua perché non possiamo perdere la speranza. Senza speranza la vita non può continuare.
Su Valigia Blu, Paola Caridi riflette sulle ragioni che potrebbero aver spinto il 5 agosto scorso Israele ad attaccare il Jihad Islamico:
La premessa è d’obbligo, per orientarsi nel labirinto della questione israelo-palestinese, quando – soprattutto – l’unico rumore è quello di missili e razzi. Questi tre giorni di fuoco all’inizio di agosto sono, infatti, un rovello, per gli analisti. Perché – è la domanda che tutti si fanno – il governo israeliano presieduto da Yair Lapid ha deciso di lanciare un attacco armato preventivo e specifico contro il Jihad Islamico, e cioè contro una delle fazioni armate che non rappresenta, dal punto di vista del consenso, la più forte nel panorama palestinese? Perché proprio ora?
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