Durante le fasi finali della prima guerra di indipendenza italiana le forze al comando del feldmaresciallo Radestzky provarono ad effettuare il primo bombardamento aereo della storia. Ne parla Stefano Gambarotto su La line della memoria, il canale ufficiale Museo della Battaglia di Vittorio Veneto.
Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,
l’altrui nequizie e la sua gloria,
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame!
1849: con il Regno di Sardegna fuori dai giochi dopo l’armistizio di Salasco, la situazione della neonata Repubblica di San Marco era disastrosa. Diciassette mesi prima un’insurrezione popolare aveva portato alla liberazione dalle carceri di Niccolò Tommaseo e Daniele Manin e alla proclamazione della Repubblica; nell’estate 1849 le truppe imperiali avevano riconquistato tutti i territori perduti e si preparavano ad assediare Venezia.
In queste schermaglie (anteriori di più di 50 anni agli esperimenti dei fratelli Wright) si inserisce il primo tentativo di uso bellico del volo. Gamberotto spiega come le truppe comandate dal Generale Radetzky non riuscirono, nonostante numerosi tentativi, a sconfiggere la difesa sul ponte della ferrovia, cioè il collegamento tra la città di San Marco e la terraferma. L’accanita resistenza dei cittadini della Repubblica aveva trovato insperato aiuto nel generale napoletano Giglielmo Pepe, che si rifiutò di obbedire all’ordine di rientro, unendosi alla rivolta e organizzando le difesa navale.
L’artiglieria imperiale, pur causando gravi danni alla città, in effetti non poteva colpire le isole più distanti, portanto ad un perdurare dell’impasse. Un colonnello austriaco (Benno Ucatius) propose quindi ai suoi superiori l’idea per far capitolare gli insorti: l’uso di aerostati per bombardare la città dall’alto.
Avuto l’assenso da Radetzky, Ucatius insieme ai suoi collaboratori progettò un primo prototipo: una mongolfiera con cesto di vimini operata da due uomini, che avrebbe dovuto lanciare degli ordigni a miccia lunga (bombe riempite con polvere nera, pece, olio e 500 palle da fucile). Il collaudo si rivelò disastroso, in quanto l’aerostato era preda dei capricci del vento e non sarebbe riuscito quindi a portarsi sull’obiettivo.
Il secondo tentativo prevedeva non più un solo oggetto volante, ma una moltitudine di piccole mongolfiere collegate da “vele” e funi; questa disposizione avrebbe dovuto migliorarne la manovrabilità e assicurare una migliore copertura dell’area da bombardare. La ragnatela di aerostati raggiunse la ragguardevole quota di 600 metri nel volo di prova e il 2 luglio 1849 si rese protagonista appunto del primo bombardamento aereo della storia.
Nella mattina qualche bomba cadde su calli e campielli facendo poco danno; l’attacco fu “respinto” prima di diventare grave non dai soldati, bensì da un vento improvviso che si levò dal mare: alcune funi si ruppero e gli aerostati e equipaggi austriaci precipitarono in laguna o si adagiarono nell’entroterra. Alcuni cittadini battezzano l’attacco la buffonata di Radetzky, ma il genio militare fu preoccupato dall’invenzione nemica e corse subito ai ripari progettando di utilizzare i razzi Congreve, munendoli di arpione per aggangiare e recidere le corde che costituivano la struttura della formazione attaccante (o in alternativa, utilizzare propri aerostati in funzione di disturbo).
I bombardamenti che seguirono furono più precisi ma le misure e contromisure furono improvvisamente interrotte da un evento terribile: a Venezia scoppiò un’epidemia di colera, aggravando enormemente la situazione militare. Dove non poterono le armate imperiali, vinse «il pan che manca» e «il morbo che infuria»: il 22 agosto 1849 venne firmata la resa. Manin, Tommaseo, Pepe e altri insorti fuggirono in esilio; da questa diaspora nacque la Società Nazionale per promuovere l’unificazione italiana intorno ai Savoia, obiettivo raggiunto nel 1861 e per Venezia nel 1866.
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