La cultura popolare della Yugoslavia socialista fu molto influenzata da ciò che arrivava dall’Italia. La nostra penisola, nonostante le ostilità storiche e le contese politiche, era comunque il primo paese a ovest della Cortina di Ferro: in un momento in cui, su entrambi i lati dell’Adriatico, si affermava la società dei consumi, la cultura italiana aveva il fascino della modernità, ma allo stesso tempo poteva sembrare non troppo distante.
La storica italiana Francesca Rolandi ha dedicato un libro, recensito dall’Osservatorio Balcani e Caucaso così come dal Foglio, all’influenza della musica leggera italiana sulla Yugoslavia degli anni ’50 e ’60. Il libro prende il titolo da “24000 baci”, una delle tante canzoni dell’epoca di cui fu fatta una cover in serbo-croato. La musica italiana era facilmente accessibile attraverso il confine, e le autorità titoiste ne tolleravano la diffusione in quanto era meno trasgressiva, e più “addomesticata”, del rock americano. Da là, sarebbe in seguito penetrata nel blocco sovietico. Come sintetizza uno dei recensori.
In qualche modo, Elvis partiva da Memphis alla volta di Mosca passando per Napoli e Zagabria.
Non era però solo la musica a unire i due paesi. Anche i fumetti italiani venivano letti avidamente sull’altra sponda dell’Adriatico, come spiega in un’intervista il disegnatore serbo Darko Perović (Perović ha personalmente costruito un legame fra i due paesi, dato che attualmente lavora per la Sergio Bonelli editore). Fra i vari fumetti italiani, un particolare successo ebbe Alan Ford, come spiega un articolo del Calvert Journal. Anche in questo caso, i consumatori yugoslavi provavano una certa famigliarità per il tipo di umorismo scanzonato che arrivava dalla nostra penisola, e che rifletteva anch’essa una società pienamente consapevole di essere colma di magagne e assurdità.
Džamić went further in claiming that Alan Ford functioned as an accurate picture of Balkan society, regardless of which political ideology it followed. “Our natural social system is neither socialism nor capitalism, but surrealism,” he writes.
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