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Come sta andando la Netflix della cultura italiana

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Un articolo del Foglio pubblica i risultati raggiunti dalla Netflix italiana, piattaforma fortemente voluta dal ministro Franceschini, già ideatore di un’altra startup di grandi speranze, verybello.

ITsArt nel primo anno ha perso quasi 7,5 milioni di euro (7.447.411 euro, per la precisione). Che vuol dire aver prosciugato quasi tutta la riserva di 9,8 milioni di euro, finanziata dal decreto “Rilancio” e versata da Cdp a seguito di una convenzione con il Mibact. …

I risultati sono impietosi. Non tanto per i costi di produzione, che sono pari a 7,7 milioni di euro, spesi principalmente per servizi (5 milioni), beni (1 milione) e costo del personale (900 mila euro). Ma soprattutto per i ricavi, tremendamente bassi: appena 245 mila euro.

Tra l’altro i bassi incassi di ITsArt sono in un certo senso anche sovrastimati. … i biglietti realmente venduti ammontano a 140 mila euro in otto mesi (la piattaforma è partita a maggio 2021).

Siccome nel bilancio ITsArt dichiara di avere “200 mila utenti italiani ed europei”, significa che in media ogni utente ha speso 70 centesimi in tutto il 2021 (in un altro punto si dice che gli utenti sono 146 mila, in tal caso i ricavi pro capite sarebbero 95 centesimi).

Anche Art Tribune prova a riflettere su questo fallimento, cercando di analizzare, per quanto solo superficialmente, le cose che possono non aver funzionato e i possibili cambi di rotta che si potrebbero tentare per non affossare completamente questo progetto.

Più interessante e costruttivo sarebbe provare a immaginare correzioni di rotta. Capire quale ruolo potrebbe avere un soggetto del genere. Ipotizzarlo, ad esempio, completamente gratuito, senza complicate registrazioni e tariffe poco legittimabili, libero. Realizzare il palcoscenico e l’archivio di tutti i contenuti riguardanti il design, l’arte, la moda, l’architettura. Rendere il progetto più verticale, più di nicchia, uscire dai territori già battuti da altri (il cinema, la musica), accettare magari il fatto che debba essere in perdita (come lo sono i teatri, o i musei e come potranno esserlo i cinema come spieghiamo nell’editoriale di questo numero di Artribune Magazine). Non metterlo in concorrenza ma magari in una logica di integrazione con la Rai.


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