Alfred Tarazi è un artista libanese che compone le sue opere accostando documenti risalenti al passato recente del paese: articoli di giornali, poster, copertine, pubblicità, etc. In questo modo, cerca di fornire ai propri concittadini uno sguardo condiviso sulla Guerra Civile e sul periodo precedente, un’ambizione che condivideva con il collaboratore Lokman Slim, assassinato da Hezbollah nel 2021. Lo Spiegel lo ha intervistato sul passato e sul futuro del suo paese.
S. Con il suo lavoro, ricorda la Guerra Civile, un’epoca che in Europa viene spesso associata a violenza e omicidi. Eppure, nello stesso periodo fiorivano le arti e la libertà di stampa. Nella sua mostra c’è una caricatura di Pierre Gemayel, uno dei più potenti politici di allora, rappresentato col corpo di una donna. Come poteva succedere?
T. Sì, è del disegnatore Stavro Jabra, che all’epoca rappresentava così tutti i leader politici: era un modo per criticare lo sciovinismo della politica libanese.
S. Cosa succederebbe, se oggi qualcuno disegnasse così il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah?
T. Sarebbe un uomo morto. Oggi sarebbe impossibile.
S. Lei mostra immagini di varie milizie, soprattutto di gruppi palestinesi, e allo stesso tempo donne mezze nude, cantanti, star del cinema, riviste sulla salute sessuale, tutto materiale dello stesso periodo. Che tipo di libertà c’era all’epoca?
T. Il Libano, si diceva allora, era un “giardino senza recinto”, uno stato debole con molte libertà. Per questo i volontari palestinesi sotto Yasser Arafat poterono insediarvisi, all’inizio degli anni ’70. E anche filmografi e intellettuali arabi si trasferirono qui, soprattutto dopo che l’Egitto impiantò nuove regole di censura. I documenti mostrano due movimenti rivoluzionari, la lotta di liberazione palestinese, e la rivoluzione sessuale. Erano il riflesso di tendenze globali contemporanee: negli anni ’70, si era politicamente impegnati e sessualmente curiosi. (….)
Abbiamo queste immagini di combattenti, di una storia di trionfo e librazione. Eppure fu allora che cominciò la Guerra Civile, e quegli uomini diventarono assassini o cadaveri, uccisero oppure vennero uccisi. (…) Poi nel 1977 arrivò la Rivoluzione Islamica in Iran, dall’Arabia Saudita si diffuse il wahabismo, e la situazione cambiò.
Per Tarazi, la Guerra Civile non è veramente finita (“la guerra è finita, ma tutti i signori della guerra sono ancora al potere. Non è solo che non gli è stato chiesto il conto di migliaia di omicidi, no, è che governano ancora. Il Libano di oggi è la continuazione della Guerra Civile con altri mezzi”). Nel frattempo, il paese è ancora in una situazione disfunzionale, come mostrato anche dall’esplosione del porto nel 2020, e la società libanese rimane atomizzata (“noi Libanesi non abbiamo mai accettato davvero lo stato, non ci abbiamo mai investito. Lo abbiamo solo tollerato facendo spallucce, ma non abbiamo mai assunto le responsabilità che uno stato impone ai suoi cittadini, come pagare le tasse”). La situazione non è però disperata, perché il Libano può ancora contare sulla sua ampia diaspora all’estero, e su ciò che rimane della sua libertà.
Beirut non sarà mai più la capitale finanziaria del mondo arabo. Però è pur sempre una città capitale culturale, perché qui si possono dire cose, che nel resto del mondo arabo sono vietate. Forse i media stampati sono morti, ma abbiano stand-up comedian, podcast, riviste online, che vengono fruiti in tutto il mondo arabo. Niente di questo è scontato. Si è liberi, fino a che non si è più liberi. Molti in Libano, fra cui Lokman Slim, sono morti per questa libertà.
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