Nell’articolo “Storie di sport: i pionieri della palla ovale”, pubblicato su Il Bo Live UniPD, l’autrice Francesca Boccaletto esplora le origini del rugby in Italia e svela storie affascinanti che riguardano questo sport.
Se i primi incontri organizzati in Italia si tengono a Torino il 27 e 28 marzo 1910, con i ginevrini del Servette chiamati ad affrontare gli studenti dello Sporting club universitaire de France, e la prima squadra italiana a scendere in campo l’anno successivo è l’Unione sportiva Milanese contro i francesi dell’Union athletique Voirronnais, già alla fine dell’Ottocento il rugby spunta tra le pagine di un manuale di ginnastica: l’insegnante di educazione fisica Daniele Marchetti lo cita infatti in Salute e forza. I giuochi ginnastici nelle scuole del 1892. Il docente vicentino pubblica il testo a proprie spese e si rivolge a “ogni ceto di persone” e in particolare ai colleghi, gli insegnanti degli istituti del Regno, affinché questi ultimi possano sfruttare i suoi consigli “nelle scuole, nei collegi, nei ricreatori, nelle palestre marziali, nell’esercito […] ovunque si raccolgono giovani e fanciulle”. Marchetti sottolinea l’importanza di un’adeguata robustezza, che “vale molta salute unita a una soddisfacente quantità di forza e di energia”.
Francesca Boccaletto presenta in questo articolo il lavoro di Elvis Lucchese, autore del saggio Pionieri. Le origini del rugby in Italia, 1910-1945 (Piazza editore), che ricostruisce la storia di questo sport dalla fine dell’ottocento a tutta la prima metà del secolo scorso.
In Italia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il Veneto la culla del rugby, come emerge nell’intervista a Elvis Lucchese:
“Per arrivare in Veneto ci vorrà del tempo. Consideriamo però che, all’inizio, la storia del rugby è, più in generale, la storia di tanti altri sport – calcio su tutti – che si sviluppano nel triangolo Genova, Torino, Milano: la parte che poteva dedicarsi allo sport all’inizio del secolo scorso perché, in altre zone più arretrate, non c’era neanche la cornice sociale per poterci pensare, tanto meno dedicare. Come prevedibile, il rugby entra in Italia filtrando dalla Francia attraverso Torino e Milano. Il Veneto ci arriva un po’ più tardi, con l’eccezione di Rovigo che, nonostante la marginalità, si prende subito una sbornia di rugby. E questo succede anche a L’Aquila e Parma, città che si appassionano subito. Sicuramente, però, prima di assumere una vera e propria dimensione regionale passerà molto tempo, parliamo degli anni Sessanta”.
Alle origini il rugby fu sport universitario, gradito al fascismo, elitario, ma ci furono anche visioni diverse:
In quegli anni, poi, si sviluppano visioni differenti, da una parte vi è quella elitaria e carica di significato degli universitari che ne fanno uno sport da aristocratici, influenzati anche dagli echi inglesi dove questo sport si gioca dapprima tra le classi alte. E dall’altra parte, ci sono esperienze che partono dal basso e si confrontano e scontrano con questa prima visione: per esempio, quello di Rovigo è un rugby con un’anima diversa, è un rugby di riscatto e orgoglio cittadino”.
Un libro quello di Lucchese che vuole comunque mantenere uno sguardo critico su questo sport:
Nel racconto del rugby è facile cavalcare gli stereotipi. Non è quello che interessa a me. Io adoro questo mondo ma ci tengo a mantenere uno sguardo critico, perché non lo ritengo un paradiso di santi ed eroi.
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