Un articolo di Tim Chambers su Anchor Edition riporta la storia delle fotografie censurate di Dorothea Lange, scattate nei campi di concentramento dove erano stati portati i giapponesi che vivevano in America durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’internamento dei giapponesi negli Stati Uniti fu un fenomeno che ha riguardato un gran numero di giapponesi, con e senza la cittadinanza statunitense, in particolare sulla costa occidentale.
Nel 1942 il Governo degli Stati Uniti incaricò Dorothea Lange, famosa per le sue fotografie che riguardavano la Grande Depressione, di documentare l’evacuazione e la ricollocazione dei giapponesi-americani, considerati come potenziali nemici.
Nonostante le sue obiezioni personali, Lange accettò la commissione, credendo che un registro accurato di questi avvenimenti sarebbe stato prezioso per il futuro.
Le fotografie di Dorothea Lange mostravano un punto di vista critico e contrario all’internamento e i comandanti militari sequestrarono il materiale durante la Seconda Guerra Mondiale, scrivendo “Impounded” su alcune stampe. Queste immagini furono depositate negli Archivi Nazionali e rimasero in gran parte invisibili fino al 2006.
Le fotografie, insieme alle didascalie scritte dalla stessa fotografa, sono state abbinate a citazioni di persone imprigionate nei campi.
Tim Chambers aveva già scritto di questo reportage
La War Relocation Authority, l’agenzia governativa istituita per supervisionare il rastrellamento e l’incarcerazione di coloro che sono soggetti agli ordini di esclusione, ha assunto la fotografa Dorothea Lange per documentare gli sforzi di “evacuazione” e “ricollocamento” al fine di fare una registrazione fotografica del processo. Lange, ben nota per le sue fotografie della Farm Security Administration dei migranti in California negli anni ’30, era ansiosa di accettare l’incarico, nonostante fosse contraria allo sforzo, poiché “credeva che una vera registrazione dell’evacuazione sarebbe stata preziosa in futuro”.
Visualizza a grandezza naturaleLange lavorò senza sosta per i mesi successivi, viaggiando in molte città e paesi della California per documentare il popolo giapponese mentre si preparava per l'”evacuazione”, mentre veniva ammassato su autobus e treni e trasferito in alloggi temporanei in caserme e scuderie negli ippodromi e nelle fiere della costa occidentale. Trascorse poi del tempo a Manzanar, uno dei più grandi campi di concentramento, situato nel deserto orientale della California meridionale, dove continuò a documentare le condizioni e le persone che erano imprigionate. Nonostante le molte resistenze da parte delle autorità del campo e della polizia militare, e diverse restrizioni su ciò che poteva fotografare, produsse oltre 800 fotografie durante il suo incarico.
Secondo Chambers questo lavoro ha contribuito alla crescita di Dorothea Lange come fotografa documentaristica:
Le fotografie di Lange non sono solo una documentazione utile e informativa di ciò che è accaduto prima dell’incarcerazione dei nippo-americani, ma sono anche un’eccezionale testimonianza della sua evoluzione come fotografa documentarista. Ha continuato a sviluppare il suo stile incentrato sul ritratto ritraendo la gente dei campi, ma ha anche ampliato la sua visione per includere l’ambiente e le condizioni del rastrellamento e dei campi. Ha seguito le famiglie mentre prendevano accordi per smaltire le loro fattorie e le loro attività prima dell'”evacuazione” e mentre si adattavano alla loro nuova vita nei campi di concentramento. Ha registrato le prove che i prigionieri continuavano a fare affidamento sulla propria creatività e resilienza per rendere il loro ambiente più ospitale nonostante la dura realtà della loro situazione.
Linda Gordon (Impounded: sulle pagine di Japan-Pacific Journal presenta in un lungo e dettagliato articolo il percorso artistico della Lange:
Nei suoi anni come fotografa in studio, con una clientela d’élite, nulla suggeriva che la politica o il radicalismo politico la interessassero. Era un’ardente New Dealer e ammirava profondamente FDR, ma non fu mai una manifestante. Tuttavia, la sua vita a San Francisco era leggermente più multiculturale di quanto fosse tipico tra i bianchi. Immersa nel mondo dell’arte bohémien della città, aveva mangiato nei ristoranti di Chinatown, dove la maggior parte dei bianchi di San Francisco aveva paura di andare, e bevuto vino nei caffè italiani in un momento in cui la maggior parte dei nativi americani bianchi beveva solo birra e whisky. Ma nel suo lavoro in studio Lange non aveva quasi mai fotografato i non bianchi fino a quando non sposò Paul Schuster Taylor, un professore progressista di economia alla UC Berkeley. Il suo principale argomento di ricerca era il lavoro agricolo, ed era il raro tipo di economista che parlava e ascoltava i suoi soggetti, oltre a raccogliere dati su di loro. Fu l’unico studioso anglosassone a studiare i messicani americani negli anni ’20, e fu uno dei pochi anglosassoni a mettere in discussione l’internamento fin dal suo inizio.
Nel 1935 la Lange accettò un lavoro presso la Farm Security Administration (FSA) del Dipartimento dell’Agricoltura.
L’articolo di Linda Gordon sottolinea come Dorothea Lange formò la sua sensibilità artistica proprio nell’ambito dei lavoratori agricoli californiani, spesso vittime di razzismo. La Lange è ancora oggi vista come la fotografa delle vittime bianche della siccità, ma la maggior parte del suo lavoro si concentrò anche sui mezzadri del sud, sia bianchi che neri, e sui lavoratori agricoli impiegati nelle vaste fattorie aziendali della costa occidentale. Questa impressione errata è dovuta al fatto che l’FSA distribuiva quasi esclusivamente fotografie di bianchi, con l’idea che solo le vittime bianche della Depressione potevano evocare la simpatia del pubblico.
Looking back now at Lange’s FSA work, we can see her representing these various farmworkers as citizens and as unique individuals. The common denominator among these photographs was respect. Her images of sharecroppers and migrant farmworkers had no less gravitas than her portraits of San Francisco’s symphony conductors and corporate executives. This vision is directly relevant to this story: Lange’s critical take on the Japanese internment flowed directly from her experience of racism in California’s agricultural employment.
L’articolo di Linda Gordon fornisce anche molti particolari sul metodo di lavoro di Dorothea Lange, la sua tecnica nei ritratti e la strumentazione che preferiva utilizzare e fa anche un paragone con un lavoro analogo di Ansel Adams a Manzanar, località nota per essere stata la sede di un campo di concentramento per cittadini giapponesi-americani.
Ansel Adams fotografò a Manzanar un anno dopo Lange, producendo un lavoro che, per contrasto, rivela molto sulla prospettiva di Lange. Ha cercato di camminare su una linea angusta, opponendosi al razzismo anti-asiatico ma evitando l’opposizione all’internamento.
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