un sito di notizie, fatto dai commentatori

Ode alla palude

0 commenti

Su Il Tascabile Mattia Iorillo traccia una veduta a volo d’uccello della storia degli acquitrini e delle zone umide nella cultura occidentale.

La nascita stessa del termine “paesaggio” è la storia del prodotto della distruzione della palude. L’agronomo e geografo Yves Luginbühl ha osservato in La Mise en scène du monde (2012) che il termine inglese landscape, derivazione di quello fiammingo lantscap, è riferibile al progetto territoriale di bonifica olandese del Mare del Nord e della chiusura dei commons.

L’articolo analizza l’immaginario negativo delle paludi e come questo sia stato plasmato dalla storia e dalla cultura, mentre invita a riconoscere il loro valore ecologico e storico.  Le paludi sono tradizionalmente percepite come ambienti oscuri, insidiosi e abitati da creature mostruose. Tale visione è stata plasmata dall’idea di progresso, che considerava le zone umide come barriere da eliminare. In epoche remote, le paludi erano venerate come luoghi sacri, spazi di passaggio tra il mondo dei viventi e quello dei defunti, nonché luoghi di riti iniziatici. Il Cristianesimo ha contribuito a demonizzare le paludi, collegandole a immoralità e selvatichezza. Nel Medioevo, venivano ritenute aree pericolose e corrotte. Tra il XVII e il XVIII secolo, si scatenò una vera e propria guerra contro le paludi, considerate intralci al progresso. La bonifica delle paludi simboleggiava il conflitto tra l’uomo e la natura. Durante il fascismo in Italia, la bonifica delle paludi pontine fu esaltata come prova del trionfo del regime. Questa operazione intensificò la percezione negativa delle paludi. Dagli anni ’70, una nuova consapevolezza ecologica ha promosso la rivalutazione delle paludi come ecosistemi vitali da conservare. Nonostante ciò, la distruzione delle aree umide rimane una sfida globale.

 


Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.