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Quando la radioattività era di moda

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Silvia Kuna Ballero, in un articolo sul magazine online Il Tascabile, ci parla dei tempi in cui la radioattività era vista come la soluzione per ogni problema di salute o estetico: dentifrici, creme, pillole, lozioni, meglio radioattivi.

Negli anni Venti del Novecento, la radioattività non era vista come una minaccia, ma come una promessa. In un’epoca affascinata dal progresso scientifico e dalle scoperte rivoluzionarie, il radio e il radon venivano celebrati come fonti di energia vitale, capaci di curare malattie, rallentare l’invecchiamento e persino elevare lo spirito umano. L’idea che piccole dosi di sostanze tossiche potessero avere effetti benefici – nota come “ormesi” – trovava terreno fertile in un mondo ancora ignaro dei pericoli delle radiazioni.

Nel febbraio 1921, per esempio, il dottor Charles G. Davis di Chicago scriveva sull’American Journal of Clinical Medicine: “La radioattività è l’essenza stessa della vita […] previene la pazzia, stimola le emozioni nobili, ritarda la vecchiaia e crea una splendida, lieta vita giovanile”.

Così nacque una vera e propria moda radioattiva. Prodotti di ogni tipo – dentifrici, creme, bevande, pillole – venivano arricchiti con radio e venduti come elisir di salute. Dispositivi come il Revigator, una brocca che “caricava” l’acqua di radon, o il Radioendocrinator, da indossare vicino alle ghiandole, promettevano miracoli. Il Radithor, forse il più celebre, era una soluzione di radio in acqua distillata, venduta come rimedio universale per oltre 150 disturbi.

Ma dietro l’entusiasmo si nascondevano i primi segnali d’allarme. Le “radium girls”, giovani operaie che dipingevano quadranti luminosi con vernice al radio, iniziarono a manifestare gravi problemi ossei e tumori. Il caso più tragico fu quello di Eben Byers, ricco imprenditore americano, che morì nel 1932 dopo aver consumato centinaia di boccette di Radithor: il suo corpo, letteralmente, si disintegrò.

La sua morte fece scalpore e spinse le autorità a intervenire. La Federal Trade Commission vietò la pubblicità di prodotti radioattivi, mentre la FDA ottenne maggiori poteri per regolamentare il mercato. Eppure, nonostante le evidenze scientifiche e le tragedie, alcuni prodotti continuarono a circolare fino agli anni ’60, e persino nel 2000 in Giappone.

Oggi, incredibilmente, esistono ancora luoghi dove la radioattività viene proposta come terapia. In Montana, alcune ex miniere offrono “trattamenti al radon” per dolori cronici, attirando migliaia di persone ogni anno. I gestori minimizzano i rischi, mentre la scienza continua a mettere in guardia contro gli effetti a lungo termine.

L’articolo ci ricorda quanto la percezione della scienza possa essere influenzata dalla cultura, dalla moda e dal desiderio di credere in soluzioni semplici. E ci invita a riflettere su come, anche oggi, il confine tra innovazione e illusione possa essere sottile.


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