Su segnalazione di @Marco Prampolini.
In un articolo su L’intellettuale dissidente si ripercorre il processo a Reyhaneh Jabbari, la donna uccisa per impiccagione per avere assassinato Morteza Sarbandi, che Reyhaneh accusava di stupro. Secondo l’autore questo fatto è stato preso come spunto per un’ennesima critica al governo iraniano, ma i fatti sarebbero più complessi di come li si dipinge.
Il caso è quindi abbastanza complesso, tanto che ci sono voluti anni di processi e accese battaglie in tribunale per decretare la sentenza, una sentenza che lascia sgomenti, non tanto per la decisione quanto per la scelta della punizione, ma che se si analizzano i fatti del tutto in linea con il diritto iraniano. La morte di questa ragazza impone alcune importanti riflessioni: una sicuramente sulla pena di morte, strumento brutale, senza logica che però non è utilizzato solo nella Repubblica Islamica, ma anche in molti paesi considerati delle democrazie liberali e anche in altri che le varie agenzie private o i governi occidentali si guardano bene dallo scomodare. L'aspetto più triste di tutta questa vicenda, è, oltre alla tragica fine della reo confessa Reyhaneh, la sconcertante semplificazione e la strumentalizzazione che ha prodotto.
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