Su suggerimento di @Baizuo_experience.
Dalle pagine del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia ed Emanuele Macaluso dialogano su come e quanto il Partito Comunista Italiano sia effettivamente stato un partito popolare e di popolo. Secondo Galli della Loggia decisamente no:
L’avversione profonda del Partito comunista verso ogni elemento genuinamente popolaresco, verso le inevitabili incoerenze, umoralità generose, velleità e spontaneismi, spesso propri di tale elemento si è espresso in una sua caratteristica storica precisa: nella diffidenza venata di disprezzo che il Pci ha sempre nutrito verso la tradizione del socialismo italiano, considerata il riassunto delle cose negative appena dette. Diffidenza presente fin dalle origini nel dna comunista e che non è venuta mai meno. Fino alla logica conseguenza che, quando dopo l’89 il nome «comunista» è divenuto impresentabile, il Pci ha preferito cambiarlo chiamandosi «di sinistra» e poi «democratico», ma dio ne scampi, giammai socialista o socialdemocratico.
Secondo Emanuele Macaluso l’analisi di Della Loggia è fuori bersaglio:
Caro Ernesto, la tua analisi non regge di fronte ai fatti. Innanzitutto, i partiti socialdemocratici europei sono stati fondati e diretti da intellettuali. Karl Marx diresse la I Internazionale e l’austromarxismo è stato la base politico-elettorale della socialdemocrazia tedesca. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e il passaggio di Bad Godesberg, l’intellettuale Willy Brandt divenne capo della socialdemocrazia e presidente dell’Internazionale socialista. E nel Partito laburista la storia fu la stessa. In Italia, Turati, Modigliani, Prampolini e altri erano intellettuali e, dopo la Liberazione, ricordo che ci fu l’intellettuale Saragat.
La discussione Galli della Loggia la chiude qui, ma sulla querelle interviene dalle pagine di Ytali anche Guido Moltedo, per puntualizzare un importante dettaglio a suo dire trascurato da entrambi i contendenti:
Quale dettaglio? Il socialismo di quegli anni, in Italia, era rappresentato da Craxi.
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