Atul Dev su The Guardian traccia un ritratto a tinte fosche di Amit Shah, il braccio destro del primo ministro indiano Modi, e come lui appartenente al partito estremista indù BJP.
Shah, attualmente ministro degli interni, nacque da una ricca famiglia del Gujarat. Cominciò a essere attivo nel BJP negli anni ’80, e fu tra gli organizzatori di uno dei suoi atti più clamorosi, la distruzione della moschea di Ayodhya nel 1992 da parte di una folla inferocita. Nel frattempo si legò strettamente al conterraneo Modi, seguendone l’ascesa politica. Svolse il ruolo di ministro degli interni a livello statale, quando il Gujarat governato da Modi fu scosso da violenti pogrom anti-islamici. Fu implicato in un torbido caso di uccisione extragiudiziaria, e assolto dopo la morte di molti dei testimoni-chiave e di un giudice coinvolti. Fu presidente del BJP, e responsabile della rapida espansione e mobilitazione capillare del partito negli ultimi anni: è stato inoltre accusato di usare le proprie funzioni e le informazioni a cui aveva accesso per ricattare i suoi finanziatori. Organizzatore maniacale a cui si dice che nulla sfugga, il responsabile del “lavoro sporco” per conto di Modi è, una figura così potente che molti hanno semplicemente paura di parlarne.
A defining feature of life in India today is the suffocating atmosphere of menace and threat to critics of the government. Shah is the face and embodiment of this fear, which lurks everywhere, from the newsrooms to the courtrooms, and which inspires a sense of alarm that is bigger than the sum of the facts and anecdotes that can be amassed to illustrate it. Suspended in the margins between what is known and what can be said, no individual story is more illustrative of contemporary India than that of Amit Shah.
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