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Archeologia e informatica, una riflessione sui percorsi universitari

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Il sito di informazione sull’archeologia Archaeoreporter propone un articolo che confronta il percorso di una laurea umanistica con una STEM in Italia traendone interessanti riflessioni:

Dopo 1 anno dalla laurea, il tasso di occupazione per l’archeologia è pari al 60%. Quello dell’informatica è pari al 92,5%. Il valore medio della retribuzione, sempre a 1 anno dalla laurea, è pari per l’archeologia a € 1.134 al mese, contro i 1.672€ dei colleghi informatici.

Una retribuzione media che gli archeologi non raggiungono nemmeno a 5 anni dalla laurea, registrando una retribuzione media mensile pari a € 1.363, e con soltanto il 28% sulla base di contratto a tempo indeterminato.

A 5 anni, gli informatici guadagnano mensilmente 2.008€ e il 75% di loro è a tempo indeterminato.

Come se ciò non bastasse, a 5 anni dalla laurea, un quarto dei laureati in archeologia svolge una professione per cui non è nemmeno richiesta “una” laurea, mentre coloro che si laureano in informatica, a 5 anni, svolgono nella quasi totalità dei casi lavori per cui la laurea è richiesta (96,4%).

Attenzione che qui non si parla di sfide tra facoltà, o tra umanismo e tecnologia. Qui si tratta di comprendere che cosa il nostro Paese, come “meccanismo” e “organizzazione”, ritiene più importante per il proprio futuro.

Perché sfornare laureati a 110 e lode, a 29 anni più quelli di ricerca, per poi trovarsi ad avere uno stipendio quantomeno mediocre, e solo dopo aver superato la lotteria che prevede che 1 su 4 dei laureati svolga professioni per cui poteva iniziare a lavorare 10-15 anni prima, non è un’opzione realmente percorribile in un Paese con il nostro tasso di natalità, e con i nostri indici di vecchiaia.


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