Cosa sta succedendo al settore dell’abbigliamento? E cosa fare degli spazi lasciati vuoti negli ultimi anni a causa delle crisi economiche che si sono succedute e, oggi, dalla pandezkmia? Sarah Gainsforth prova a rispondere a queste domande con un reportage pubblicato su Internazionale.
Gainsforth ripercorre la storia dei grandi magazzini, dal 1887 (quando a Roma, in via del Corso, apriva i battenti Alle città d’Italia, poi ribatezzata Rinascente), fino all’apice negli anni sessanta e le prima vere difficoltà con l’avvento dei colossi del fast fashion come Zara, Gap e H&M.
La pandemia non ha fatto che esacerbare la crisi: secondo Confcommercio tra il 2012 e il 2020 in Italia sono spariti 77mila negozi; a questo si aggiungono venti miliardi di perdita del settore abbigliamenti nel solo 2020. Con le abitudini di acquisto che si spostano sempre di più online (+45% lo scorso anno), sorge la domanda: «Che fare con gli spazi vuoti?»
“Non si può parlare di riqualificazione urbana senza pensare a come riempire gli spazi vuoti, senza riflettere su quali sono le attività che mancano, le infrastrutture, il verde pubblico”. Alberto Marchiori della Confcommercio spiega che è necessario elaborare strategie complessive di rigenerazione urbana come leva di rilancio socioeconomico delle città. “Questo non vuol dire, come spesso si pensa, demolizione e ricostruzione di edifici. Questa non è rigenerazione urbana. Lo sviluppo delle città è un interesse collettivo e sociale. Le scelte politiche degli anni passati non sono state il frutto di questo tipo di ragionamenti, quanto piuttosto l’espressione di interessi particolari”.
Marta Leonori (consigliere e presidente del gruppo PD alla regione Lazio, condivide idee simili): «Nel centro storico bisogna incentivare il ritorno delle librerie e degli artigiani. La sfida è capire quali strumenti mettere in campo per calmierare gli affitti», ricordando il caso della libreria Feltrinelli nella galleria Colonna, che nel 2015 rischiava di chiudere e si è salvata con la riduzione del canone di affitto del 25 per cento (una scelta puramente etica, non di mercato, secondo la proprietà della galleria).
Immagine: Grandi magazzini fratelli Bocconi, da milanofree.it
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