Un articolo dello Scientific American spiega (link alternativo) che negli anni Novanta istituzioni quali la World Bank in collaborazione con governi nazionali e organizzazioni conservazioniste hanno cominciato a implementare modelli di sviluppo “sostenibile” nel bacino del Congo. La realizzazione di questi piani ha comportato la suddivisone della foresta pluviale in zone per il disboscamento e altre attività e contemporaneamente istituito aree protette come rifugi sicuri per la fauna.
Questa mossa, all’apparenza attenta alla salaguardia dell’ambiente, ha però portato gran parte di una foresta brulicante di elefanti, gorilla, scimpanzé, cinghiali, scimmie e antilopi a diventare una boscaglia degradata, il cui ecosistema è stato distrutto per lo sfruttamento intensivo dei pregiati legni autoctoni.
Vittime di questa situazione sono anche i Pigmei BaYaka, una volta attivi e ben nutriti ora sono spesso lavoratori casuali malnutriti, depressi e soggetti all’alcolismo, che vivono ai bordi di quelli che una volta erano i loro territori, terrorizzati dalle cosiddette ecoguardie, che impediscono a chiunque l’accesso alle “aree protette”, e soggetti a sfruttamento commerciale e sessuale da parte di estranei.
Immagine da Wikimedia.
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