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Contro l’impegno (e contro i contrari)

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Claudio Giunta recensisce sul proprio blog Contro l’impegno di Walter Siti, edito per Rizzoli.

Il nuovo lavoro di Siti (dal sottotitolo «Riflessioni sul Bene in letteratura») analizza (e critica) quel filone di libri che «mirano ad essere di più»: scritti quindi pedagogici, che instradano alla virtù, che riparano torti storici, che combattono l’infelicità dell’oggi (concezioni secondo Giunta diffuse soprattutto negli scrittori di sinistra), ma anche libri (più graditi conservatori) che mirano a custodire o a replicare i valori di una certa comunità o Stato.

Giunta riflette sulla vera portata di emancipazione della letteratura: se in un passato poi non così lontano — pensiamo all’800, a titoli come Grandi speranze ma anche a Caterina Percoto in Italia — davvero qualche libro aveva un potenziale per affrancare il lettore, cosa possiamo dire oggi su Saviano, su Murgia o D’Avenia? Giunta prende a prestito un passo da Bontà:

«Quelle horreur […]. Influire, influire è il nuovo verbo. Usano la letteratura come un mezzo, non la traguardano come un fine; la considerano uno strumento per confermare, non un acido per corrodere. Se i pozzi sono vuoti, i rabdomanti del represso dovranno pure testare nuovi terreni; recuperare in ampiezza quel che si sta perdendo in profondità»

Siti — che ha scritto il Contro l’impegno — mostra cautela («Forse semplicemente sono obsoleto con la mia fiducia nella letteratura solo scritta»), Giunta — che del libro fa la recensione — è più tranchant:

[Difendo] l’idea che la letteratura, per essere buona, deve dare risposte complicate, ambigue, e deludere le attese piuttosto che adempierle, […] «il territorio in cui nessuno possiede la verità, né Anna né Karenin, ma in cui tutti hanno diritto ad essere capiti, Karenin non meno di Anna»; l’idea che i temi del dibattito corrente non sono quasi mai buoni temi per la letteratura; l’idea che ogni valore, persino la misericordia, è ancipite.

Immagine: Book Story Forest, Reinhardi, da Pixabay.


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